sabato 28 gennaio 2023

A 150 anni dalla nascita di Colette



Oggi sono centocinquant’anni dalla nascita di Colette, per me insieme a Madame de La Fayette la più grande scrittrice di ogni tempo. Di fronte a loro, infatti, la preferenza - ma è solo un punto di vista, per carità - varca il confine di una nazione che è già par excellence quella delle penne fatate. Per stare a queste altitudini bisogna affidarsi a Saffo, E. Brontë, Dickinson e a quelle che con molta probabilità sono ancora mani femminili: le autrici delle Mille e una notte
Colette, certo. Non trovo altrove prosa altrettanto seducente, col suo passo abbreviato eppure sinuosissimo attraverso le curve di un itinerario tutto promesse concesse a tempo debito. E non riconosco altrove, poi, nei suoi repentini e prolungati affondi altrettanto anatomico lo scavo di timori, occultamenti, presunzioni. Di fronte a pochi altri autori ci si trova nell’impaccio di dover adoperare una parola fra le più povere perché abusate: intelligenza. Nelle sue opere, infatti, Colette ci ha consegnato la forma sovranamente intelligente e luminosa che assume quel sentire che a noi uomini è e sarà sempre precluso, perché è solo e soltanto femminile. 
Voglio ricordarla così col suo libro forse più aureo. Possiede in grado altrettanto struggente e dolcissimo il saper declinare della Marschallin di Strauss e von Hofmannsthal. 

«Altre volte mi vedo sospinta fuori di me stessa e costretta a concedere una generosa ospitalità a coloro che, avendomi ceduto il proprio posto sulla terra, sono stati soltanto in apparenza sommersi dalla morte. L’ondata di rabbia che sale in me e mi domina come un piacere dei sensi: ecco mio padre, con la sua bianca mano italiana tesa verso le lame, chiusa sul coltello a serramanico da cui non si separava mai. Sempre mio padre, la gelosia che in passato mi rese tanto molesta… I miei passi ricalcano docilmente le tracce dei passi, fermi per sempre, che segnavano il percorso dal giardino alla cantina, dalla cantina alla pompa, dalla pompa alla grande poltrona piena di cuscini, di libri spalancati e di giornali. Su questa strada battuta, illuminata da un raggio basso e radente, il primo raggio del giorno, spero che imparerò perché non bisogna mai rivolgere un’unica domanda al merciaio - voglio dire Vial, ma è lo stesso innamorato perfetto -, perché il vero nome dell’amore, che allontana e bandisce ogni cosa intorno a sé, è «leggerezza».


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