venerdì 26 ottobre 2018

Rossini a Londra, ma non al cinema



È perché film in costume gli inglesi ne fanno meno di un tempo. Ma se per una volta lasciassero da parte Wilde (con la Dickinson, invece, han fatto benissimo) troverebbero nel soggiorno di Rossini a Londra al tempo di Giorgio IV ricca materia per la sceneggiatura di uno di quei film giocosi e pieni di motti di spirito sulla linea di Restoration e England, my England, entrambi del '95. Forse anche questo è un segno che misura il grado d’interesse, non soltanto in Italia, per l'anniversario rossiniano se paragonato a quello del ‘92. Certo, la Renaissance era allora al culmine coi suoi répechages per grandi artisti. E 150 non è cifra tonda quanto 200; ma io per il 2068 potrei non fare a tempo. 
Un anno prima usciva Rossini! Rossini!, lavoro perfettibile di Monicelli già passato per le mani di Altman che abbandonò il progetto in favore di America oggi: era un film che dopo la pellicola di Bonnard (1942) aggiornava sullo schermo la vita del compositore abbozzandola per un pubblico di nuovi rossiniani.
Per farla breve, ecco quindi il soggetto del film che non c’è. Preceduto da fama mondiale e sotto lo sguardo acuto di George Brummel, Rossini giunge da Calais a Londra nel dicembre 1823 in compagnia della Colbran dopo un viaggio in mare che il compositore affronta come un'odissea (ma il treno gli piacerà ancor meno). Splendida casa al 90 di Regent Street con tanto di pappagallo esotico. Inviti a profusione per la coppia musicale ma prima di tutti il re: ricevimento nel fiabesco Royal Pavillon di Brighton fra draghi dorati e tulipani giganti da gotico indiano. As usual, il dandy italiano è perfettamente a proprio agio nella mondanità e intesse un capolavoro di strategia mondana e finanziaria. A mezzanotte precisa, innaffiati con champagne, punch e limonata, si mangiano sandwich. Rossini canta la canzone del salce, in falsetto, e la sortita di Figaro perché il re è un grande esteta, protettore delle arti e musicofilo. Canta lui pure, da basso (maluccio, pare), spesso colla duchessa di Kent e il futuro re del Belgio. Una caricatura dell'epoca ce lo mostra mentre implora un duetto all'italiano (
«a fat, jolly-looking person»). 
Londra è conquistata pure al King's Theatre: Zelmira, Barbiere, Ricciardo, Otello e Semiramide. Ironia, distacco e bon mot caratterizzano i dialoghi: potrebbe fornir materia pure Carolina di Brunswick, la moglie rifiutata dal re e da Rossini stesso... con la scusa dei reumatismi. Il club Watier, la musica e il gioco d'azzardo, l'ubriachezza ed il concubinaggio tanto che la Colbran sta bene in guardia mentre il consorte dà lezioni di canto al fior fiore dell'aristocrazia inglese. E poi Almack, la politica, la Grecia di Byron con la nota luttuosa dell'orgoglio britannico. E centosettantacinquemila lire messe insieme senza comporre nessuna nuova opera per il teatro. Parigi attende, ma per poco.


giovedì 11 ottobre 2018

Montserrat Caballé (1933 - 2018)

Qui gli ascolti che, a mio avviso, raccontano meglio di altri l’arte di Montserrat Caballé e che sono un poco trascurati in questa occasione luttuosa. L’arte della Caballé, certo, e in primo luogo il suono della sua voce. Perché quello era - il suono - e non genericamente “la voce” ad arrivare all’orecchio durante l’ascolto dal vivo con morbidezza e facilità straordinaria (ho fatto in tempo, anche se negli anni del declino).
La voce è mezzo che si apparenta troppo immediatamente alla fisicità (la Caballé era campionessa anche di questa). Poi, magari, la voce si apparenta pure alla fibra e là si commette errore. Bisogna, specialmente per un’artista come la Caballé, parlare allora in primo luogo di suono e di come arrivava in teatro. Suono, infatti, è parola che rimanda alla dimensione squisitamente musicale del mezzo. Qualità sonora del soprano catalano che la associa, fra quelli della sua generazione, a Pavarotti come si sente in quel postatissimo video dal vivo della Bohème del ‘76 al Met. Video e audio amatoriale, certo. Ma se è mortificante sul piano della profondità dell’ascolto (mono) - o forse proprio in virtù di questo - offre testimonianza ai nuovi spettatori di cosa siano i suoni che arrivano facili e rotondi. 
Anche la Caballé, con Callas e Sutherland, si contava tra le ammiratrici di Magda Olivero. Una volta il soprano catalano dichiarò: «È il mio mito; quando decisi di cantare “Adriana Lecouvreur” mi sforzai di accostarmi il più possibile al suo modello, ma sono rimasta solo una brutta copia». Immagino che facesse seguire a questa frase una delle sue contagiose risate.
Se dovessi scegliere una sola interpretazione della Caballé da portare sull’isola deserta ne avrei diverse a disposizione. La sua Giovanna d’Arco, forse? Oppure Fiordiligi? Luisa Miller? Sono certo che uno spazio in valigia lo pretenderei per Margherita (Mefistofele). Almeno per la romanza dell’atto terzo si troverà posto nella tasca laterale!
La Caballé è stata anche Elena, certo: nobilissima eppure languorosa. Ma è stata ancor più memorabile nel ruolo della protagonista. E se la Lecouvreur della Olivero servì da modello alla Caballé, sarebbe assai difficile escludere - una volta fatto il raffronto - che lo sia stata pure per l’opera di Boito.
La Caballé, infatti, segue e approfondisce, fedele alle natura belcantistica, la linea tracciata dalla Olivero: sfruttamento delle risorse più pure del canto per far guadagnare alla pagina una drammaticità tanto raggelata quanto dirompente.
La Olivero, dal vivo, canta la romanza col potere evocativo di un fraseggio capace di farci sentire sulla pelle pure la temperatura dell’«aura fredda». E poi il volo inquieto del passero, smarrito nel bosco per mimare un tormento che è instabilità nevrotica e che, nella scaltrita e sorvegliatissima linea di canto, pretende col crescendo emotivo un’apice (anche focus del proscenio) che è la prodigiosa messa di voce sul Si naturale nella cadenza del secondo couplet.
Se nell’esecuzione dal vivo che si trova in rete (1987) la Caballé concede davvero troppo all’effetto (io direi effettaccio) che chiama l’applauso, in studio (1974) canta con patetismo trattenuto ed orrorifico in proporzione diversa ma altrettanto efficace rispetto alla Olivero. Trova la sua Margherita il filtro rassicurante della follia; quello che chi subisce uno squilibrio mentale adotta per affrontare la realtà. Ed ecco allora il rifugio nella mimesi di un volo musicale che suona rischiarante, fluido, per
culminare due volte in trillo immacolato. Un canto che altrove, sempre con studiata accortezza, si disincanta per brevi ed inquietanti momenti («anima mia»), ricorrendo anche a colpi di glottide che restano in una linea sorvegliatissima eppure estremamente mobile, equilibrio perfetto di pathos e melanconia. 


 
 
 

martedì 9 ottobre 2018

Interludio materano


Già profondamente innamorato di questo luogo incantato che proprio al tramonto ti offre la certezza di non voler essere altrove per alcun motivo al mondo. Sarà pure che le suggestioni storiche e letterarie sono capaci di arricchire di fascino ogni suo sasso, sommandosi al profumo delle erbe selvatiche e all’accento simpaticissimo dei suoi abitanti; ma questa è davvero una città stupefacente.
Dopo la cultura, fatela capitale della cortesia perché “materano” dovrebbe essere accolto nel dizionario come sinonimo di umanità e di dolcezza.






Noi non ci bagneremo sulle spiagge 
a mietere andremo noi 
e il sole ci cuocerà come la crosta del pane. 
Abbiamo il collo duro, la faccia 
di terra abbiamo e le braccia 
di legna secca colore di mattoni. 
Abbiamo i tozzi da mangiare 
insaccati nelle maniche 
delle giubbe ad armacollo. 
Dormiamo sulle aie 
attaccati alle cavezze dei muli. 
Non sente la nostra carne 
il moscerino che solletica 
e succhia il nostro sangue. 
Ognuno ha le ossa torte 
non sogna di salire sulle donne 
che dormono fresche nelle vesti corte.

(Rocco Scotellaro, in Margherite e rosolacci, 1978) 



Girano tanti lucani per il mondo, ma nessuno li vede, non sono esibizionisti. Il lucano, più di ogni altro popolo, vive bene all’ombra. Dove arriva fa il nido, non mette in subbuglio il vicinato con le minacce e neppure i "mumciupì" con le rivendicazioni. È di poche parole. Quando cammina preferisce togliersi le scarpe, andare a piedi nudi. Quando lavora non parla, non canta. Non si capisce dove mai abbia attinto tanta pazienza, tanta sopportazione. Abituato a contentarsi del meno possibile si meraviglierà sempre dell’allegria dei vicini, dell’esuberanza dei compagni, dell’eccitazione del prossimo. Lucano si nasce e si resta. Gli emigranti che tornano dalla Colombia o dal Brasile, dall’Argentina o dall’Australia, dal Venezuela o dagli Stati Uniti, dopo quaranta anni di assenza, non raccontano mai nulla della vita che hanno trascorso da esuli. Rientrano nel giro della giornata paesana, nei tuguri o nelle grotte, si contentano di masticare un finocchio o una foglia di lattuga, di guardare una pignatta che bolle, di ascoltare il fuoco che farnetica. E di uscire all’aurora se hanno un lavoro o un servizio da compiere, uscire all’oscuro per tornare di notte. Non si tratta di una vocazione alla congiura o alla rapina ma di una istintiva diffidenza verso il sole. Dove c’è troppa luce il lucano si eclissa, dove c’è troppo rumore il lucano s’infratta. Non si fa in tempo a capire questo animale, a fare un passo di strada insieme, che già fugge alla svolta. Per andare dove? Gli amici che hanno qualche dimestichezza coi lucani hanno capito la strategia, li fanno cuocere nel loro brodo. C’è un tratto caratteristico dei lucani, un tratto sfuggito ai viaggiatori, da Norman Douglas a Carlo Levi, sfuggito ai benefattori, da Adriano Olivetti a Clara Luce, e forse agli stessi sociologi. Il lucano non si consola mai di quello che ha fatto, non gli basta mai quello che fa. Il lucano è perseguitato dal demone della insoddisfazione. Parlate con un contadino, con un pastore, con un vignaiolo, con un artigiano. Parlategli del suo lavoro. Vi risponderà che aveva in mente un’altra cosa, una cosa diversa. La farà un’altra volta. 

(Leonardo Sinisgalli, Un disegno di Scipione e altri racconti, Mondadori, Milano 1975, pp. 165-166)


Nella chiesa rupestre di San Giuliano (Matera, Sasso Barisano) del XV secolo, inglobata nell'ex Monastero di Sant'Agostino. Affresco della Santissima Trinità (prima metà XVII secolo); Crocefissione (prima metà XVII secolo).
Nella chiesa rupestre di San Giuliano (Matera, Sasso Barisano) del XV secolo, inglobata nell'ex Monastero di Sant'Agostino. Affreschi: San Silvestro I, Papa (XVII secolo); Santa Barbara (XVII secolo).

Per le strade del Sasso Barisano

Per le strade del Sasso Barisano

Per le strade del Sasso Barisano
Per le strade del Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Nel Sasso Barisano

Sasso Barisano guardando verso la Cattedrale (Civita)
Nel Sasso Barisano

Nel Sasso Barisano

Nel Sasso Barisano

Facciata della chiesa di San Giovanni Battista (Sasso Barisano, Matera), 1233

Facciata della chiesa di San Giovanni Battista (Sasso Barisano, Matera), 1233

Particolare della facciata della chiesa di San Giovanni Battista (Sasso Barisano, Matera), 1233. Nella nicchia la statua del santo.
La chiesa di San Giovanni Battista (Sasso Barisano, Matera), 1233.

Interno di una casa grotta nel Sasso Barisano (Matera)

Interno di una casa grotta nel Sasso Barisano (Matera)

Interno di una casa grotta nel Sasso Barisano (Matera)

Interno di una casa grotta nel Sasso Barisano (Matera)

Nel Sasso Barisano (Matera)

Nel Sasso Barisano (Matera)

Nella casa grotta di "Agriristories" in via Sette Dolori, 62 (Sasso Barisano, Matera)

Il Sasso Barisano a sera


Il Sasso Barisano a sera

Il Sasso Barisano a sera

Il Sasso Barisano a sera

Il Sasso Barisano a sera

Antipasti materani "da Stano"


La facciata della chiesa di Sant'Agostino (architettura tardo-barocca) all'estremità del Sasso Barisano

Serata materana, da Sant'Agostino guardando verso Civita

Interno della chiesa di San Giovanni Battista (1233), a croce latina
 
Interno della chiesa di San Giovanni Battista (1233)

Interno della chiesa di San Giovanni Battista (1233) con decorazioni zoomorfee e vegetali

Interno della chiesa di San Giovanni Battista (1233), a croce latina
Interno della chiesa di San Giovanni Battista (1233) con decorazioni zoomorfee e vegetali

All'nterno della chiesa di San Giovanni Battista (1233), l'altare policromo con affresco della Madonna della Nova (XVI secolo)

Nell'ex ospedale di San Rocco (1610), poi adibito a carcere (1825) e oggi sede di esposizioni

Nell'ex ospedale di San Rocco (1610), poi adibito a carcere (1825) e oggi sede di esposizioni

Nell'ex ospedale di San Rocco (1610), poi adibito a carcere (1825) e oggi sede di esposizioni
Nel Sasso Barisano

Nel Sasso Barisano

Dal "Buongustaio" in piazza Vittorio Veneto

Dal "Buongustaio" in piazza Vittorio Veneto

Nella chiesa ipogea del Santo Spirito (X secolo)

Nella chiesa ipogea del Santo Spirito (X secolo) con frammento di affresco del Crocefisso

Nella chiesa ipogea del Santo Spirito (X secolo) 

Nella cisterna del Palombaro Lungo

Nella cisterna del Palombaro Lungo

Nella cisterna del Palombaro Lungo. Il segno nero indica l'altezza raggiunta dall'acqua nel 1936.

Nella cisterna del Palombaro Lungo. Il segno nero indica l'altezza raggiunta dall'acqua nel 1936.

Nella cisterna del Palombaro Lungo. Il segno nero indica l'altezza raggiunta dall'acqua nel 1936.
Nel Palombaro Lungo i fori per far calare i secchi

Nella cisterna del Palombaro Lungo 

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Balcone in via Beccherie (Sasso Barisano)

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano

Affaccio sul Sasso Barisano


Ingresso del Palazzo Santoro (XVI secolo)

Affaccio sul Sasso Barisano

Facciata del Palazzo Santoro (XVI secolo)

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), la Cappella rinascimentale dell'Annunziata, opera di Giulio Persio scolpita in blocchi di calcarenite.

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), a sinistra, l'altare maggiore originario in pietra con sculture (1539), opera di Altobello Persio.

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), la Cappella rinascimentale del Presepe (1534), opera di Altobello Persio e di Sannazzaro di Alessano. Nel piano inferiore, un recente ritrovamento: affreschi della preesistente basilica di Sant'Eustachio.


Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), particolare della Cappella rinascimentale dell'Annunziata, opera di Giulio Persio scolpita in blocchi di calcarenite.

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), particolare dell'altare maggiore originario in pietra con sculture (1539), opera di Altobello Persio collocata nella sinistra del transetto.

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), affresco bizantino risalente al 1270 della Madonna della Bruna con Bambino benedicente attribuito a Rinaldo da Taranto.

Interno della cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo) con cornici e stucchi sei-settecenteschi e le originarie colonne con capitelli romanici.
Interno della cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo) con cornici e stucchi sei-settecenteschi ("M" iniziale della città e simbolo del bue) e le originarie colonne con capitelli romanici.

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), il Giudizio Finale eseguito ad affresco nel XIII secolo, opera di Rinaldo di Taranto. In basso, San Giuliano, Madonna con Bambino, San Luca; opere del XIV secolo.

Nella cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo), battistero del XIII secolo (già Cappella dei Santi Pietro e Paolo o di San carlo Borromeo). In affresco: San Giuliano, Madonna con Bambino, San Luca; opere del XIV secolo.
Esterno della cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo). Porta dei Leoni.

Facciata della cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo) in stile romanico-pugliese. Nelle nicchie la Madonna della Bruna e i Santi Pietro e Paolo.
Facciata della cattedrale della Madonna della Bruna e di Sant'Eustachio a Matera (XIII secolo) in stile romanico-pugliese. Nelle nicchie la Madonna della Bruna e i Santi Pietro e Paolo. Il rosone a sedici raggi è sorretto da quattro statue.

Vista sul sasso Barisano dalla piazza della Cattedrale

Cortile adiacente la piazza della Cattedrale
Nicchia votiva con pluviale nel Sasso Barisano, scendendo dalle Gradelle del Duomo

Opere di restauro e conservazione nel Sasso Barisano
Vista dalla chiesa di Sant'Agostino verso la Murgia e Civita
Vista dalla chiesa di Sant'Agostino verso la Murgia e Civita

La facciata tardobarocca della chiesa di Sant'Agostinocon le nicchie che accolgono le statue di Sant'Agostino e di un Vescovo Benedicente.

Nella chiesa di San Francesco d'Assisi (Matera), prima metà XVIII secolo. Alle spalle dell'altare maggiore, polittico del XVI secolo con nove dipinti a tempera su tavola.

Nella chiesa di San Francesco d'Assisi (Matera), prima metà XVIII secolo, la Cappella di Sant'Antonio da Padova con statua lignea. 

Panorama del Sasso Barisano

Chiesa della Madonna del Carmine (Matera): portale ligneo all'ingresso dell'edificio.

Interno della chiesa del Purgatorio (1727-1747).
Portale della chiesa del Purgatorio (1727-1747) con figure che simboleggiano la morte e la redenzione dei peccati.

La facciata del Palazzo del Sedile nella piazza omonima è oggi sede del Conservatorio. L'edificio risale al 1540 con modifiche settecentesche. Le statue nelle nicchie rappresentano le Virtù cardinali.

Dal sasso Caveoso, affaccio sulla piazza antistante la chiesa dei santi Pietro e Paolo (San Pietro Caveoso)

Dal sasso Caveoso, affaccio con vista sulla chiesa della Madonna de Idris

Fossili sul muro destro che sta nella via Duomo e porta alla Cattedrale

L'antico cimitero antistante la cripta di San'Andrea nel Sasso Caveoso

Tomba nell'antico cimitero antistante la cripta di San'Andrea nel Sasso Caveoso

Ossa di bue sostengono una grondaia nel Sasso Caveoso.

Nella cripta cenobitica di Sant'Andrea (XII-XIII secolo)

Nella cripta cenobitica di Sant'Andrea (XII-XIII secolo), il primo ambiente è quello che continene i palmenti

Nella cripta cenobitica di Sant'Andrea (XII-XIII secolo) con Cristo Benedicente nel catino absidale
Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)
Nella Casa Grotta del Casalnuovo (Sasso Caveoso)

Si fa sera nel Sasso Caveoso
Facciata della chiesa di San Francesco d'Assisi (Matera) ricostruita nel 1751

Notturno sul Sasso Barisano

Notturno sul Sasso Barisano
Notturno sul Sasso Barisano
La facciata della Chiesa di San Giovanni Battista (Matera) illuminata per la sera (XIII secolo)


Vista dal fianco della chiesa di Sant'Agostino


Vista dal difronte della chiesa di Sant'Agostino


Pane di Matera esposto fuori da una bottega nella piazza San Francesco
Facciata della chiesa di San Francesco d'Assisi (Matera), ricostruita nel 1751


Facciata della chiesa di San Francesco d'Assisi (Matera), ricostruita nel 1751

Particolare della facciata della chiesa del Purgatorio (1727-1747) con figure che simboleggiano la morte e la redenzione dei peccati.
Particolare della facciata della chiesa del Purgatorio (1727-1747) con figure che simboleggiano la morte e la redenzione dei peccati.
Vista su Civita e Barisano dal Sasso Caveoso

Nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve (Sasso Caveoso, Matera). Lo scavo risale al IX secolo e gli affreschi si datano fra l'XI e il XVII.
Nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve (Sasso Caveoso, Matera). Lo scavo risale al IX secolo e gli affreschi si datano fra l'XI e il XVII. In ques'immagine, San Vito Martire (XIV secolo) e Santa Lucia (1610)
Nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve (Sasso Caveoso, Matera). Lo scavo risale al IX secolo e gli affreschi si datano fra l'XI e il XVII. Navata destra: Madonna con Bambino e Santo Vescovo. Sul fondo a sinistra s'intravede la Madonna che allatta ("Galaktotrophousa") e San Gregorio risalenti ala seconda metà del XIII secolo, opere attribuite a Rinaldo da Taranto.

Nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve (Sasso Caveoso, Matera). Lo scavo risale al IX secolo e gli affreschi si datano fra l'XI e il XVII. Qui, San Giovanni Battista e San Benedetto da Norcia che risalgono al XIV secolo.

Nella navata di sinistra della chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve (Sasso Caveoso, Matera), gli affreschi della Madonna che allatta ("Galaktotrophousa") e di San Gregorio risalenti ala seconda metà del XIII secolo, opere attribuite a Rinaldo da Taranto. In primo piano, "Focagna" (ex iconostasi di Sant'Agata).

Nella chiesa rupestre di Santa Lucia alle Malve (Sasso Caveoso, Matera) un primo piano dell'affresco di San Vito Martire (XIV secolo) e di Santa Lucia (1610)
Nei pressi di Santa Maria de Idris, guardando le chiese rupestri della Murgia

Terrazzo con vista sul Sasso Caveoso e sulla chiesa della Madonna de Idris (Matera)
Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Affresco del Cristo Pantocratore (XI-XII secolo).

Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Affresco del Cristo Pantocratore (XI-XII secolo) nel secondo ambiente della chiesa.
Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Affresco di San Nicola Vescovo (XIII secolo).

Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Affresco di San Girolamo (XIII secolo), Giovane Santo (XIII secolo) e Sant'Andrea Apostolo (XI-XII secolo).
Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. San Giacomo maggiore Apostolo (XIII secolo) e San Pietro Apostolo (XIII secolo).
Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Affresco del Santo Monaco (XIII secolo) posto nel terzo e ultimo ambiente della chiesa.

Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Particolare dell'affresco del Santo Monaco (XIII secolo) posto nel terzo e ultimo ambiente della chiesa.
Nella chiesa di Santa Maria di Idris, XI-XII secolo. Frammenti scultorei e di affresco.
Affaccio sulle chiese rupestri della Murgia


Affaccio sul Sasso Caveoso

Affaccio sul Sasso Caveoso

Lungo una strada del Sasso Caveoso


Museo Ridola (Matera). Ceramica graffiata e dipinta (Neolitico antico) da villaggi trincerati
Museo Ridola (Matera). Frammenti di anse con applicazioni zoomorfe sulle anse a nastro (Neolitico antico) da villaggio di Serra d'Alto.

Museo Ridola (Matera). Stilizzazione del volto umano (Neolitico Antico). Murgia Timone.
Museo Ridola (Matera)

Museo Ridola (Matera)."Olla", vaso per contenere liquidi e derrate, rinvenuto a Montescaglioso (tomba 28). Fine VII secolo a.C.
Museo Ridola (Matera). Ceramica apula a figure rosse, seconda metà del IV secolo a. C. Cratere a mascheroni per mescolare il vino con l'acqua (cerchia del pittore di Copenaghen 4223). Nel lato A, all'interno di un'edicola funeraria ("naiskos") un giovane reca gli elementi che lo identificano come guerriero: corazza, spada e lancia; ai lati, un giovane e una fanciulla porgono offerte.
Museo Ridola (Matera). Ceramica apula a figure rosse, seconda metà del IV secolo a. C., rinvenuta a Timmari (tomba 33). Fra gli oggetti, vaso per la cerimonia nuziale ("loutrophoros"), vasi cerimoniali per bere ("rhytoi") con forme di cerbiatto, vitello e cane, vaso sacrale ("situla").

Nei pressi di contrada Pietrapenta, lungo il torrente Gravina (Matera) sul quale affaccia la Cripta del Peccato Originale.
Nella Cripta del Peccato Originale. Affreschi datati fra l'VIII e il IX secolo), opera del Pittore dei fiori di Matera. Parete di fondo: la Creazione e il Peccato Originale.
Nella Cripta del Peccato Originale. Affreschi datati fra l'VIII e il IX secolo), opera del Pittore dei fiori di Matera. Prima nicchia della parete sinistra: la Triarchia degli Apostoli.

Nella Cripta del Peccato Originale. Affreschi datati fra l'VIII e il IX secolo), opera del Pittore dei fiori di Matera. Parete di fondo: particolare della Creazione e del Peccato Originale. Eva porge ad Adamo un fico.

Nella Cripta del Peccato Originale. Affreschi datati fra l'VIII e il IX secolo), opera del Pittore dei fiori di Matera. Particolare della Triarchia degli Apostoli.
Nella Cripta del Peccato Originale. Affreschi datati fra l'VIII e il IX secolo), opera del Pittore dei fiori di Matera. Seconda nicchia della parete sinistra: la Triarchia della Vergine.
Fra gli ulivi in contrada Pietrapenta, lungo il torrente Gravina (Matera) sul quale affaccia la Cripta del Peccato Originale.
Peperoni di Senise e Chiaromonte ("cruschi") in vendita a Matera
Facciata di San Pietro Barisano (1755). La chiesa, scavata nel tufo, risale all'anno 1000.



Affreschi nella basilica di San Pietro Barisano. Madonna con Bambino (XVI secolo) e San Donato Vescovo (XVI secolo)
Chiesa di San Pietro Barisano. Da sinistra, San Canio vescovo (XVI secolo), Annunciazione (XVI secolo), Santa Caterina d'Alessandria (XVI secolo)

Chiesa di San Pietro Barisano. Cripta con sepolture "a scolare".

Chiesa di San Pietro Barisano. Cripta con sepolture "a scolare".

Chiesa di San Pietro Barisano. Cripta con sepolture "a scolare".

Chiesa di San Pietro Barisano. Cripta con sepolture "a scolare".

Navata centrale della chiesa di San Pietro Barisano.

Il nome della via che sta dietro al Duomo ricorda l'assassinio del conte Giovan Carlo Tramontano ad opera dei materani ribelli nel 1514 al suo dominio e a quello di Ferdinando I d'Aragona. Il conte fu assassinato all'uscita della cattedrale il 29 dicembre. Da questo fatto origina pure il motto della città: Bos Lassus Firmius Figit Pedem (Il bue stanco affonda il passo più fermamente).

Nella Casa Ortega: Compagno morto

Nella Casa Ortega: da sinsitra, Libertà e La casa rossa, opere di José Ortega (1921-1990)

In Casa Ortega, soffitto con maioliche nella camera da letto.

All'ingresso di Casa Ortega: parte del carro della Bruna in cartapesta. Dipinta la figura di Sant'Eustachio.

All'ingresso di Casa Ortega: parte del carro della Bruna in cartapesta.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Menardo Rosso, Il birichino (1883)

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Carlo Guarienti, Doppio ritratto (2004). Ipogeo numero 2.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Ipogeo numero 2.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Ipogeo numero 3.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Ipogeo numero 3.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Ipogeo numero 5.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Ipogeo numero 5.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Ipogeo numero 6.

MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea), Matera. Carlo Bernardini, Codice spaziale (2010). Ipogeo numero 6.

Navata destra nella chiesa di San Pietro Caveoso (Matera), XIII-XIV secolo. Affresco.

Soffitto settecentesco ligneo della chiesa di San Pietro Caveoso (Matera), costruita fra XIII-XIV secolo.
Navata centrale e soffitto settecentesco ligneo della chiesa di San Pietro Caveoso (Matera), costruita fra XIII-XIV secolo.

Soffitto settecentesco ligneo della chiesa di San Pietro Caveoso (Matera), costruita fra XIII-XIV secolo. Si raffigura Cristo che affida la Chiesa a San Pietro, La Madonna che consegna le chiavi a San Pietro, la Conversione di San Paolo e l'Incoronazione della Vergine.
Nella chiesa di San Pietro Caveoso (Matera), costruita fra XIII-XIV secolo, l'antico fonte battesimale della Cappella dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Scolpiti raffiguranti, fra l'latro, l'Agnello pasquale.  

Vista su San Pietro Caveoso e sulla chiesa di Santa Maria de Idris

Una strada a Civita (Matera)

Cortile di Palazzo Viceconte (già Venusio), XVI-XVII secolo

Affaccio sulla Murgia

Vista sul Sasso Caveoso

Strozzapreti con peperoni cruschi, cacioricotta, pomodorini e mollica di pane fritta

Facciata della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, capolavoro del romanico pugliese.

Interno della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, capolavoro del romanico pugliese, con le solenni arcate che scandiscono la navata centrale.

Interno della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, capolavoro del romanico pugliese. Il matroneo soprastante la navata sinistra della basilica.

Nella basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari. Il transetto con le arcate cieche e le bifore soprastanti.

Il ciborio duecentesco della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, capolavoro del XII secolo.

La controfacciata della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari.

Nella navata centrale della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, guardando l'ingresso. Il soffitto è intagliato e dorato con dipinti del XVII secolo.

Guardando l'abside della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, dalla sinistra del transetto.

Nella cripta della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, con le ventisei colonne abbellite da capitelli romanici.

L'altare maggiore della cripta della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari, in cui riposano le reliquie del santo.

Scorcio della facciata della basilica di San Nicola (XI secolo) a Bari.

Esterno della cattedrale di San Sabino a Bari (XII-XIII secolo): fianco sinistro con la "trulla" (l'antico battistero) e il campanile (alto 68, 90 metri)
Facciata della cattedrale di San Sabino a Bari (XII-XIII secolo)

Abside della cattedrale di San Sabino a Bari (XII-XIII secolo) con il ciborio ricomposto grazie ai resti dell'originale duecentesco.
Facciata della cattedrale di San Sabino a Bari (XII-XIII secolo)

Mura del castello normanno-svevo di Bari (XIII secolo)

Mura del castello normanno-svevo di Bari (XIII secolo)

Mura del castello normanno-svevo di Bari (XIII secolo)
Palma da dattero sotto le mura del castello normanno-svevo di Bari (XIII secolo)
Esterno del Teatro Margherita a Bari (1914)