sabato 16 settembre 2017

Nel quarantesimo anniversario della morte di Maria Callas

Per ricordare Maria Callas c'è anche, una volta oltrepassate le strade più battute del mito, la sua Armida.
Penso agli ultimi giorni del soprano in quel triste appartamento di Avenue Georges-Mandel. Chissà se avrebbe voluto ascoltare (ma con quale stato d'animo!) la registrazione fiorentina del '52; forse le sarebbe stato impossibile, da perfezionista, trovare qui difetti, imprecisioni.
I miti autentici come la Callas non hanno bisogno che si calchi la mano attorno alle loro "epifanie" e "rivoluzioni". La Callas appartiene dunque alla Storia, specie a quella che l'ha preceduta e nella quale ha iscritto la propria avventura artistica.
In questa pagina rossiniana c'è un saggio di quella restaurazione (rivoluzionaria, ça va sans dire) che apparenta la Callas alla secolare tradizione del bel canto italiano. Questo ascolto è un affaccio sui secoli passati e sul modo di praticare un'arte antica: quella che, svincolata da preoccupazioni di naturalismo drammatico, è capace con i mezzi del canto di creare una magia che si propone di conquistare anche
«Chi, misero, non sente / La fiamma sua possente».