venerdì 28 marzo 2014

Teatro Lirico Internazionale


Teatro Lirico Internazionale, via Larga 16, Milano.

Quale migliore occasione di un'esposizione internazionale per ridare al Teatro Lirico - insieme alla rimessa in funzione - anche l'aggettivo di cui si fregiava alla fine dell'Ottocento! 



domenica 23 marzo 2014

Her

I film importanti sedimentano nella nostra mente. A distanza di un settimana dalla visione di "Her" (in lingua originale, of course), mi è rimasta nitida l'impressione di un'opera che, tra le molte qualità, possiede quella di essere inodore, illuminata dalle luci familiari di laptop e LED. È inodore laddove, invece, questo senso è continuamente stimolato nel cinema all'epoca del 3D. Qui la terza dimensione è guadagnata altrove, in uno scavo sorprendente e doloroso della propria coscienza, modellata passo passo attorno alla propria, individuale personalità; quella del protagonista, certo. Ma è un'indagine che chiama all'appello ogni spettatore, al punto che la sola sequenza di un amplesso (a tre) - sudato e fonte d'imbarazzo - è percepita come disturbante nella ricerca del sé nell'altro. La coscienza è proprio questo. Quello di Spike Jonze è un appello alla visione senz'ombra di giudizio, che per essere compreso veramente ha bisogno di un'adesione prossima a quella di scrittore e regista; ed è quindi totalizzante. Ho ritrovato qui il regista che ho amato in "Essere John Malkovich". Anche questo è il racconto di mille perdite e altrettanti smarrimenti nell'altro; un itinerario di crescita e dolore. Non è davvero questa l'analisi di un disturbo psichico 2.0, quanto piuttosto un percorso di rivelazione da compiere insieme al protagonista Theodore Twombly che, come il burattinaio Craig Schwartz, fa il mestiere di creatore: ogni lettera trattiene parte di ciascuno di noi, chiunque sia l'autore; anche questo è il racconto di una storia e di tante altre; il racconto di tante perdite e rinascite. Scrivere è piangere e amare per tutti gli altri, come fanno i poeti. Non conosco altro modo di girare oggi un film che sia genuinamente sentimentale, nella più alta accezione del termine.

giovedì 13 marzo 2014

"Sigurd" di Ernest Reyer

In un'ideale stagione di titoli "che piacquero a Verdi", bisognerebbe includere "Sigurd" di Ernest Reyer (1823-1909). "Una grande e bell'opera", come la definì il maestro italiano dopo averla applaudita all'Opéra nel 1885. La vicenda? Tratta dal "Niebelungenlied" con protagonisti Sigurd, Gunther, Hagen e Brunehild; insomma, la sacra collina.





venerdì 7 marzo 2014

Snowpiercer

Dopo l'uscita di "Snowpiercer", non possiamo che ridimensionare i nostri discorsi sul film di Sorrentino, 'pro o contro' che siano. La Corea del Sud è una repubblica di 50 milioni di abitanti che possiede, come sostengono gli economisti, molti vantaggi comparati simili all'Italia: se crediamo alle statistiche, nel 2040 sarà il terzo paese al mondo per reddito pro capite. Oggi è in grado di produrre un film costato 38,2 milioni di euro e che allinea un cast in cui, fra gli altri, figurano Tilda Swinton (una metamorfosi perfetta), Chris Evans, John Hurt e Jamie Bell: insomma, le star americane e inglesi. Regista di indiscusso talento e autore del soggetto (ma la fonte è francese) è Bong Joon-ho che ha diretto film come "The Host" (2006), produzione dalla forte identità ma pensata per il grande pubblico, e anche il terzo episodio di "Tokyo!", film a sei mani con Gondry e Carax; insomma, a proprio agio tanto in un'affollata multisala di Seoul quanto in un europeo cinema d'essai. Oltre la metafora ecologista-classista-hobbesiana (ennesima declinazione dell'homo homini lupus), qui è in gioco una trama che mette al centro la responsabilità morale e individuale; con esito così spietato da lasciare che volontà ed evento naturale si trovino, per un momento, sullo stesso piano; e abbandonando i sopravvissuti al destino di ri-trovarsi di fronte ad un altro, paritario, essere vivente. Sullo schermo, il cinema di Joon-ho muta pelle in continuazione; e lo fa cambiando con frequenza registri ritmo e trattamento, fedele ad un'estetica orientale aggiornata però alla più attuale sensibilità figurativa così come alla tecnica cinematografica (notevole il lavoro sul suono). Il risultato è destinato a spiazzare molti spettatori occidentali; siamo abituati (forse da troppo tempo?) ad una netta distinzione di registri, che rispecchia quella di genere: principalmente, drammatico o commedia. Qui invece la metamorfosi stilistica ci accompagna in crescendo fino alla scoperta di una verità ciclica e feroce più di quanto non si immagini.
Ah, quasi dimenticavo: la bella colonna sonora - ferrosa e straniante quando serve - è dell'italoamericano Marco Beltrami, già candidato all'Oscar. Ha studiato con Jerry Goldsmith e lavorato con Luigi Nono. Tra gli infiniti nomi coreani che scorrono nei titoli di coda si legge anche il suo.


domenica 2 marzo 2014

Alain Resnais (1922 - 2014)

Insieme a "Hiroshima, mon amour", il mio film preferito di Resnais rimane "La guerre est finie". Quando ho saputo della sua morte, ho subito pensato alla fiducia incrollabile che aveva nei testi e nella scrittura; e soprattutto nei pre-testi. Forse era proprio dalla formazione culturale, nutrita e curiosa, che muoveva il proprio sguardo sulla realtà e sulla memoria; davvero, dal cinema all'oltre. Mi piacerebbe che le sue opere, come questo importante documentario, fossero d'insegnamento a giovani cineasti, anche per sottrarli all'estetica televisiva.