sabato 23 maggio 2020

The Lighthouse


Holy, holy, holy Light!
Immaterial incandescence,
Of God the effluence of the essence,
Shekinah intolerably bright!
Accade questo. Max Eggers, il fratello del regista di The Witch, vorrebbe adattare per il cinema l'ultimo e incompiuto racconto di Poe. Di quello, poi, tranne che il titolo e i cenni a Nettuno (in Poe è il nome del cane), non resta quasi nulla perché Robert, il regista, riscrive completamente la sceneggiatura realizzando un film che è anzitutto girato e recitato da dio; per me il migliore dell'anno passato. Un'immersione totale nel mondo lirico e brutale di Melville, Coleridge e Stevenson. La letteratura di Sarah Orne Jewett, invece, ha suggerito il dialetto impiegato dagli attori; ragione, fra le altre, per il quale il film di Eggers va visto in originale.
È un film che si guarda anche con le orecchie, in aggiunta al fatto che qualità e profondità del suono sono davvero prodigiose. Agli occhi il compito di lasciarsi imprigionare da un bianco e nero impuro, epico, che negli esterni è degno del cinema di Flaherty.
La tensione matura passo a passo, implacabile come le coscienze che si autoavvelenano, fino a che - se vogliamo stare attaccati a versi di Melville - «Sybilline inklings blending rave».
Eppure il giovane Prometeo è avvertito dal vecchio Proteo:
“Non sputare il tuo rospo, qualunque sia. La verità è che la tua coscienza è sporca e noiosa come tutte le coscienze sporche. O peggio, o peggio... Tieni chiusa quella sentina di bocca”. Niente da fare, e sarà peggio per lui.
Qui nuotano deliranti gli oracoli, ambigui nelle infinite stille di una colonna sonora continuamente graffiata e percossa da cinghie, sbuffi e sirene nautiche.
Thomas (Tom/Tommy) Howard è Pattinson (o è Ephraim Winslow?). Thomas Wake è Dafoe. Entrambi attori in stato di grazia. E l'omonimia ritardata ma indiziale fra i personaggi rimanda a tutta una letteratura del doppio che mi sembra abbia in Conrad (Il compagno segreto) il punto di svolta determinante. Ma i rintocchi e le assonanze con tutto un mondo, un'estetica, non potrebbero essere riassunte qui. Bastino allora un paio di versi del “Sailor's Hymn at Parting” di Lydia Sigourney parafrasati nel brindisi di Wake/Defoe: Should pale death with treble dread / make the ocean caves our bed, / God who hear'st the surges roll, / deign to save our suppliant soul.
Nei gabbiani vivono le anime dei marinai che hanno incontrato il Creatore.
- “Tu preghi mai, Winslow?”
- “Non spesso quanto potrei, ma ho il timor d'Iddio se è questo che chiedete”.

Trascrivo qui anche la maledizione finale, per non dimenticarla. 
O what Protean forms swim up from men's minds,
and melt in hot Promethean plunder,
scorching eyes, with divine shames and horror
and casting them down to Davy Jones.
The others, still blind, yet in it see
all the divine graces and to Fiddler's Green sent,
where no man is suffered to want or toil,
but is ancient, immutable and unchanging.
As the she who girdles 'round the globe.
Them's truth. You'll be punished.



venerdì 15 maggio 2020

Jean Vigo, Ezio Bosso e la componente emozionale

C’è stato al mondo un uomo come Jean Vigo che girava capolavori assoluti resistendo con passione e forza smisurate alla tubercolosi che lo avrebbe ucciso a ventinove anni. I suoi capolavori sono e restano tali indipendentemente dalla condizione fisica in cui versava il loro autore. Sarebbe assurdo, oltre che vergognosamente immorale, affermare che tale condizione fisica generi (o magari pregiudichi) i frutti del lavoro di un autore. Fu ad essi allora estranea, indifferente, tale condizione? Niente affatto, perché nessun fattore umano è alieno al fare dell’artista. Ed allora, non dimentichi di esso, continuiamo ad amare i capolavori di Vigo.
Allo stesso modo dobbiamo riconoscere nei frutti dell’attività di Ezio Bosso sul fronte della musica colta occidentale quella di essere stati, quando non mediocri, assolutamente approssimativi laddove forza e determinazione straordinarie dell’uomo trovavano attraverso i mezzi di comunicazione un veicolo adatto a testimoniare non la grandezza dell’arte ma l’amore per essa.
Un interesse emozionale, dunque, che è aspetto ricercato con assiduità talvolta esclusiva dai media perché si tratta di una componente immediata, facile, adatta ad essere veicolata al più vasto numero di spettatori.