lunedì 31 gennaio 2022

The Power of the Dog

The Power of the Dog è un film auspicabilmente andersoniano (leggi: Paul Thomas, ovvio). Ma trovo che la regia della Campion - ancorché ben premiata a Venezia - latiti in diversi punti, troppo confidando nel lasciar fare alla trama e a ellissi che vorrebbe fossero più pregnanti di quelle in risultato. 
Anderson, dunque. 
Il cattivo ha tratti da Daniel Plainview, capace però di redenzione. Qui, sullo schermo di Netflix, la California d’inizio Novecento è il Montana; fonte il romanzo di Savage. 
Da baciare in fronte, come sempre, è Jonny Greenwood che ha scritto musica fatta di legni, stoffa e polvere di finestre illuminate. Sono sonorità che si tengono lontane anni luce dall’epica western, eppure trattengono segmenti e ombreggiature ricercatamente autoctoni. 
Da ascoltare. 

lunedì 17 gennaio 2022

Jean Santeuil

 

È cominciato l’anno di Proust e l'ho iniziato leggendo Jean Santeuil. A dicembre ho terminato per la seconda volta la lettura della Recherche (quanto cambiano proporzioni e messe a fuoco dopo un nuovo approccio col capolavoro assoluto! la narrazione si trasforma, letteralmente, sotto il nostro sguardo, pagina dopo pagina) e stavolta sono stato tentato di ricominciarla subito da capo. Mi sono trattenuto ma - avendo preso in mano e divorato il Monsieur Proust della Albaret - il soggiorno in quello stesso mondo pieno, totalizzante, si è così altrettanto prolungato. Il fatto è che quella pienezza, quella facoltà di avvolgere il lettore, impedisce poi di passare ad altro, almeno per un po'.
Ho cercato allora diversivo in nuove letture: Malaparte, Colette, poesie e racconti di Cernuda, una biografia su Carlo V e qualcos’altro. Ma il mondo di Proust mi restava attaccato in maniera tale da compromettere il pieno godimento di questi libri. Allora, complice una serie di nuovi ascolti musicali di area proustiana, ho scelto il romanzo «cartone» preparatorio della Recherche: Jean Santeuil, appunto.
Il romanzo "fallito" è da decenni materia di studio e non aggiungo certo nulla di nuovo scrivendone qui, se non per me stesso che ho scoperto in lui fino a che punto siano identici tanti ingredienti che formano il fratello incomparabilmemte maggiore; altri ci vengono invece sottratti, ma li troviamo qui con interesse e piacere: sono cenni su Balzac, Stendhal, Don Giovanni e un fulmineo ritratto di Picquart, per esempio.
La cifra - trascurando lo stile che è però questione nodale in Proust - è quella appuntistica, complice l'incompiutezza del romanzo. Ciò che mi ha più impressionato è però la freschezza, la genuinità di certi affondi che - malgrado la terza persona più debordante che la letteratura universale conosca - possiedono già il tono colloquiale della confessione all'amico e che, prima di diventare - come saranno - autentiche rivelazioni (ci vuole, insomma, il tempo ritrovato) leggiamo nel "Santeuil" con l'emozione e la gioia che ci trasmettono forse anzitutto per due ragioni: perché le sappiamo uscite dalla penna del più grande degli scrittori, qui poco più che ventenne e perché le raffrontiamo coi luoghi della Recherche nei quali quelle stesse verità sono giunte a compimento, a perfezione, avendo facoltà proprio nel romanzo primo di assaporarle ab origine, nel nucleo primigenio.
Ecco un esempio:
«Il desiderio di Jean, come quello di tutti gli innamorati, anelava a qualcosa di impossibile.
Quando non siamo amati, sentiamo molto bene come le nostre fantasie riferite a una certa persona e i nostri innumerevoli desideri non hanno alcun rapporto con la realtà. Ma non potendo attribuire una specie di realtà obiettiva alle nostre speranze nel vederle confermate da quella persona, avvertiamo grande felicità a ritrovarle nei poeti e nei musicisti. E siccome i sentimenti che vi ritroviamo espressi con tanta forza e che rendono ancora più reale il nostro amore, imponendolo come cosa ben distinta da un sogno personale, noi non possiamo separarli da colei che li provoca, finiamo col considerare tutti i giuramenti d'amore, tutte le parole appassionate in poesia e in musica, come ricordi di un sentimento reciproco che abbia realmente unito la nostra amica e noi, che avrebbe dovuto essere stato, così che riascoltiamo quelle melodie e ci ripetiamo quei versi asciugandoci gli occhi come se rileggessimo i messaggi d'amore di una donna che in seguito ci avesse traditi. E in quei momenti tutta la poesia amorosa, tutta la musica amorosa ci sembrano superiori alle altre. O almeno lo diciamo, benché forse il nostro pensiero non sia esattamente questo. Ma l'espressione di quel giudizio serve a liberare la felicità che quelle parole ci risvegliano. Come qualcuno che viene maldestramente urtato e dice: "Che idiota, come si fa a essere tanto stupidi da non badare alla strada", così, il più delle volte, diciamo parole che rivelano il nostro nervosismo, il nostro piacere, la nostra pena, più che idee sincere.»

mercoledì 5 gennaio 2022

Roma chiama Lecce



 · «Degl’anni tuoi già spenti, 
     dimmi, che ti rimane? O folli inganni! 
     La beltà non ritorna, e tornan gl'anni.»

      da Il Trionfo del Tempo e del Disinganno, 1707
      libretto di Benedetto Pamphilj 
      Roma 

· Palazzo Marrese, 1720
      opera di Mauro Manieri 
      Lecce



Concerto di Capodanno 2022

 

Ninfe, gnomi, sirene, la fenice.
Gli esseri che hanno ispirato diversi brani di questo concerto sono, come lo è l’esecuzione, cose da Mille e una notte.
 
 
https://www.raiplay.it/video/2021/12/Concerto-di-Capodanno-Vienna-2022-e5601a6c-fdc9-4f90-896a-2daac1eb1185.html?wt_mc=2.app.cpy.raiplay_prg_Concerto%20di%20Capodanno%20Vienna%202022.&wt&fbclid=IwAR0DYTkTAo6xmCYkz6zrk-v8abhPhOnqPR0QsdW-qXpFPAZIQkEgLgu5JWw

Illusions perdues

L’ho visto mesi fa in anteprima e vedo che è al cinema in questi giorni. L’ho trovato un riuscitissimo incontro fra film d’autore e film di cassetta. Se vivessimo tempi più sereni, sarebbe il genere di pellicola adatta ad essere guardata dai ragazzi col prof. di francese, rigorosamente al cinema e in lingua originale come fecero fare a me e compagni col Cyrano de Bergerac di Rappeneau. Anche qui c’è Depardieu, ma anzitutto c’è l’attore del momento e speriamo pure del futuro: Benjamin Voisin. È un Lucien talmente sensazionale da far dimenticare, a chi ami il capolavoro di Balzac, l’assenza in sceneggiatura del dolcissimo personaggio di David Séchard.

Due poesie di Luís Cernuda

 

No decía palabras
 
 
No decía palabras,
Acercaba tan sólo un cuerpo interrogante,
Porque ignoraba que el deseo es una pregunta
Cuya respuesta no existe,
Una hoja cuya rama no existe,
Un mundo cuyo cielo no existe.
La angustia se abre paso entre los huesos,
Remonta por las venas
Hasta abrirse en la piel,
Surtidores de sueño
Hechos carne en interrogación vuelta a las nubes.
Un roce al paso,
Una mirada fugaz entre las sombras,
Bastan para que el cuerpo se abra en dos,
Ávido de recibir en sí mismo
Otro cuerpo que sueñe;
Mitad y mitad, sueño y sueño, carne y carne,
Iguales en figura, iguales en amor, iguales en deseo.
Aunque sólo sea una esperanza,
Porque el deseo es una pregunta cuya respuesta nadie sabe.
 
 
Non diceva parole
 
 
Non diceva parole,
accostava soltanto un corpo interrogante,
ignorando che il desiderio è una domanda
cui non c’è risposta,
una foglia che non ha ramo,
un mondo che non ha cielo.
L’angoscia si fa strada tra le ossa,
risale per le vene
fino ad aprirsi nella pelle,
zampilli di sogno
fatti carne che interroga le nubi.
Un tocco breve,
uno sguardo fugace tra le ombre
bastano perché il corpo si apra in due,
avido di ricevere in se stesso
altro corpo che sogni;
metà e metà, sogno e sogno, carne e carne,
uguali in figura, uguali in amore, uguali in desiderio.
E sia pur soltanto una speranza,
perché il desiderio è una domanda la cui risposta è ignota. 
 
 
Luís Cernuda, 1931
 
da Los placeres prohibidos – I piaceri proibiti
(traduzione mia)
 
 
 
 
 
El intruso
 
 
 
Como si equivocara el tiempo
Su trama de los días,
¿Vives acaso los de otro?,
Extrañas ya la vida.
Lejos de ti, de la conciencia
Desacordada, el centro
Buscas afuera, entre las cosas
Presentes un momento.
Así de aquel amigo joven
Que fuiste ayer, aguardas
En vano ante el umbral de un sueño
La ilusa confianza.
Pero tu faz en el alinde
De algún espejo, vieja
Hosca, abstraída, te interrumpe
Tal la presencia ajena.
Hoy este intruso eres tú mismo,
Tú, como el otro antes,
Y con el cual sin gusto inicias
Costumbre a que se allane.
Para llegar al que no eres,
Quien no eres te guía,
Cuando el amigo es el extraño
Y la rosa es la espina.
 
 
L’intruso
 
 
Come se il tempo confondesse
la trama dei suoi giorni
- vivi per caso quelli altrui? -,
la vita già rimpiangi.
Lungi da te, dalla coscienza
non accordata, fuori
tu cerchi il centro, tra le cose
presenti un istante.
E di quell’amico giovane
che fosti, ora mantieni
invano alle soglie di un sogno
l’illusa confidenza.
Ma il tuo volto, riflettendosi
su un qualche specchio, vecchio
assorto, cupo, ti interrompe,
come l’altrui presenza.
Ora quell’intruso sei proprio tu,
tu, come prima l’altro,
con cui a malincuore cominci
una pratica cui sottostare.
Per diventare chi non sei,
chi non sei ti guida,
quando l’amico è l’estraneo
e la rosa è la spina. 
 
 
Luís Cernuda, 1949
 
 
da Vivir sin estar viviendo - Vivere senza essere vivi
(traduzione mia)