lunedì 17 gennaio 2022

Jean Santeuil

 

È cominciato l’anno di Proust e l'ho iniziato leggendo Jean Santeuil. A dicembre ho terminato per la seconda volta la lettura della Recherche (quanto cambiano proporzioni e messe a fuoco dopo un nuovo approccio col capolavoro assoluto! la narrazione si trasforma, letteralmente, sotto il nostro sguardo, pagina dopo pagina) e stavolta sono stato tentato di ricominciarla subito da capo. Mi sono trattenuto ma - avendo preso in mano e divorato il Monsieur Proust della Albaret - il soggiorno in quello stesso mondo pieno, totalizzante, si è così altrettanto prolungato. Il fatto è che quella pienezza, quella facoltà di avvolgere il lettore, impedisce poi di passare ad altro, almeno per un po'.
Ho cercato allora diversivo in nuove letture: Malaparte, Colette, poesie e racconti di Cernuda, una biografia su Carlo V e qualcos’altro. Ma il mondo di Proust mi restava attaccato in maniera tale da compromettere il pieno godimento di questi libri. Allora, complice una serie di nuovi ascolti musicali di area proustiana, ho scelto il romanzo «cartone» preparatorio della Recherche: Jean Santeuil, appunto.
Il romanzo "fallito" è da decenni materia di studio e non aggiungo certo nulla di nuovo scrivendone qui, se non per me stesso che ho scoperto in lui fino a che punto siano identici tanti ingredienti che formano il fratello incomparabilmemte maggiore; altri ci vengono invece sottratti, ma li troviamo qui con interesse e piacere: sono cenni su Balzac, Stendhal, Don Giovanni e un fulmineo ritratto di Picquart, per esempio.
La cifra - trascurando lo stile che è però questione nodale in Proust - è quella appuntistica, complice l'incompiutezza del romanzo. Ciò che mi ha più impressionato è però la freschezza, la genuinità di certi affondi che - malgrado la terza persona più debordante che la letteratura universale conosca - possiedono già il tono colloquiale della confessione all'amico e che, prima di diventare - come saranno - autentiche rivelazioni (ci vuole, insomma, il tempo ritrovato) leggiamo nel "Santeuil" con l'emozione e la gioia che ci trasmettono forse anzitutto per due ragioni: perché le sappiamo uscite dalla penna del più grande degli scrittori, qui poco più che ventenne e perché le raffrontiamo coi luoghi della Recherche nei quali quelle stesse verità sono giunte a compimento, a perfezione, avendo facoltà proprio nel romanzo primo di assaporarle ab origine, nel nucleo primigenio.
Ecco un esempio:
«Il desiderio di Jean, come quello di tutti gli innamorati, anelava a qualcosa di impossibile.
Quando non siamo amati, sentiamo molto bene come le nostre fantasie riferite a una certa persona e i nostri innumerevoli desideri non hanno alcun rapporto con la realtà. Ma non potendo attribuire una specie di realtà obiettiva alle nostre speranze nel vederle confermate da quella persona, avvertiamo grande felicità a ritrovarle nei poeti e nei musicisti. E siccome i sentimenti che vi ritroviamo espressi con tanta forza e che rendono ancora più reale il nostro amore, imponendolo come cosa ben distinta da un sogno personale, noi non possiamo separarli da colei che li provoca, finiamo col considerare tutti i giuramenti d'amore, tutte le parole appassionate in poesia e in musica, come ricordi di un sentimento reciproco che abbia realmente unito la nostra amica e noi, che avrebbe dovuto essere stato, così che riascoltiamo quelle melodie e ci ripetiamo quei versi asciugandoci gli occhi come se rileggessimo i messaggi d'amore di una donna che in seguito ci avesse traditi. E in quei momenti tutta la poesia amorosa, tutta la musica amorosa ci sembrano superiori alle altre. O almeno lo diciamo, benché forse il nostro pensiero non sia esattamente questo. Ma l'espressione di quel giudizio serve a liberare la felicità che quelle parole ci risvegliano. Come qualcuno che viene maldestramente urtato e dice: "Che idiota, come si fa a essere tanto stupidi da non badare alla strada", così, il più delle volte, diciamo parole che rivelano il nostro nervosismo, il nostro piacere, la nostra pena, più che idee sincere.»

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