venerdì 30 ottobre 2020

I walk the line



 

Un film cupo, disperato e fra i migliori di Frankenheimer, ambientato in una provincia americana che sembra senza tempo: gli adulti producono whiskey illegale e i bambini giocano già a immaginarsi soldati. I walk the line esce nel 1970. Nixon è presidente, mentre il grande regista newyorkese, sostenitore di Robert Kennedy, aveva curato la sua propaganda cinematografica durante le presidenziali del ‘68. Un’immagine di J.F. Kennedy si vede nello schermo, sul quale per la prima volta dopo diciotto minuti dall’inizio del film scorrono immagini in campo lungo e il sonoro riproduce l’eco della sala vuota.

Sceriffo Tawes: “Hai mai visto un tribunale?”
Alma McCain: “No, signore, mai.”
Sceriffo Tawes: “C’è stato un incendio qui nel ‘28, ma l’hanno costruito di nuovo”
Alma McCain: “Però è tale e quale come se fosse nuovo, no?”
Sceriffo Tawes: “Non penso che un tribunale sia mai nuovo. Ci sono un sacco di posti a sedere e... oh, questo sarebbe il banco dei giudici. E la bandiera americana.”
Alma McCain: “Quella la conosco. Intendo la bandiera.”
Sceriffo Tawes: “Spero bene che tu conosca la bandiera.”
Alma McCain: “Perché ho giurato fedeltà alla bandiera. Certo però che non ho giurato fedeltà ad una bandiera così grande, io.”

Elenco alfabetico di cineasti

Elenco alfabetico (per nome proprio!) di cineasti, nati fra gli anni ‘20 e ‘40, che hanno girato almeno un lungometraggio negli ultimi dieci anni. Poi, elenco di autori di respiro internazionale attualmente in piena attività. 

[work in progress]

 
- Alejandro Jodorowsky
- Brian De Palma
- Carlos Saura
- Claude Lelouch
- Clint Eastwood
- Dario Argento
- David Cronenberg
- Edgar Reitz
- Francis Ford Coppola
- George Miller
- Hayao Miyazaki
- Im Kwon-taek
- Jean-Luc Godard
- Ken Loach
- Marco Bellocchio
- Martin Scorsese
- Michael Haneke
- Michael Mann
- Mike Leigh
- Oliver Stone
- Paul Schrader
- Paul Verhoeven
- Pedro Almodóvar
- Peter Bogdanovich
- Peter Greenaway
- Philippe Garrel
- Ridley Scott
- Roman Polánski
- Stephen Frears
- Steven Spielberg
- Takeshi Kitano
- Terence Davies
- Terrence Malick
- Terry Gilliam
- Werner Herzog
- Wim Wenders
- Woody Allen 
 
Abdellatif Kechiche
Abel Ferrara
Alejandro Amenábar
Alejandro González Iñárritu
Aleksandr Sokurov
Alfonso Cuarón
Andrej Petrovič Zvjagincev
Ang Lee
Ann Hui
Apichatpong Weerasethakul
Asghar Farhadi
Barry Jenkins
Béla Tarr
Bong Joon-ho
Bruno Dumont
Călin Peter Netzer
Carlos Reygadas
Christopher Nolan
Damien Chazelle
Darren Aronofsky
David Fincher
Denis Villeneuve
Derek Cianfrance
Franco Maresco
François Ozon
Gaspar Noé
Giuseppe Tornatore
Guillermo del Toro
Gus Van Sant
Hirokazu Kore'eda
Jafar Panahi
Jean-Pierre e Luc Dardenne
Jia Zhangke
Jim Jarmusch
Joel ed Ethan Coen
Joshua Oppenheimer
Julian Schnabel
Kathryn Bigelow
Lana e Lilly Wachowski
Lars von Trier
László Nemes
Lav Diaz
Leos Carax
Lou Ye
Luc Besson
Luca Guadagnino
Mario Martone
Martin McDonagh
Matteo Garrone
Michael Moore
Michel Gondry
Michelangelo Frammartino
Mohsen Makhmalbaf
Nanni Moretti
Nicolas Winding Refn
Nuri Bilge Ceylan
Pablo Larraín
Paolo Sorrentino
Paul Thomas Anderson
Paweł Pawlikowski
Pietro Marcello
Quentin Tarantino
Richard Linklater
Robert Eggers
Roberto Minervini
Sam Mendes
Sean Penn
Shin'ya Tsukamoto
Sofia Coppola
Spike Jonze
Spike Lee
Steve McQueen
Steven Soderbergh
Tim Burton
Tony Gilroy
Wes Anderson
Wong Kar-wai
Xavier Dolan
Yorgos Lanthimos
Zhang Yimou

giovedì 29 ottobre 2020

Sui teatri

 

L’articolo (https://www.wittgenstein.it/2020/10/28/la-storia-dei-teatri/?fbclid=IwAR38qh5-UGx93VoAz2WdktdDrAkNspL_9xgNvjzj66GR1ppSyVt7nHWiIT0) è superficiale, viziato da pregiudizio culturale (perché la Scala non sarebbe servizio pubblico?) ma valida è la presa di posizione di fondo. Sin qui il dibattito sui luoghi per musica è stato inquinato, scollegato com’è da una realtà profondamente mutata nei decenni.
Troppi confondono le necessità di chi fa musica con quelle di chi ne fruisce da spettatore. Certo: assistere dal vivo a opere e concerti offre opportunità senza raffronto rispetto alla fruizione domestica. Va anche detto che, per esperienza, ho verificato che coloro i quali si vantano di non possedere che due o tre dischi e, per converso, di assistere e d’aver assistito a migliaia di esecuzioni dal vivo (talvolta è puro presenzialismo), non capiscono nulla di musica. In un contesto repertoriale come il nostro, la cultura d’ascolto è fatta di confronti ragionati che si alimentano e perfezionano in casa, pure leggendo, perché farsi staccare il biglietto dalla maschera non basta.
È paradossale il veder ridicolizzato lo streaming da parte di un conduttore radiofonico la cui trasmissione vive grazie ad ascolti piratati su YouTube, ormai senza neppure muoversi da Roma se non per impegni professionali che presuppongono altri retributori.
Di cosa stiamo parlando allora? Di fruizione? No. Parliamo del lavoro di chi suona, di chi canta, di chi danza, di chi allestisce, di chi fa vivere un’istituzione musicale. C’est ça l’enjeu. Un artista ha bisogno di esibirsi e di crescere giorno per giorno in una realtà musicale a tutto tondo. Dobbiamo far sì che questo torni possibile al più presto e in condizioni ottimali. A queste tante realtà lavorative bisogna imperativamente dare conforto. In un paese in cui negli ultimi decenni è cresciuto il numero di ricchi, non dovrebbe essere difficile. Parliamo di lavoro, allora, non di fruizione.
Nei tempi che furono, durante le epidemie le compagnie chiudevano e si andava altrove. Il nostro altrove sono i mezzi di comunicazione. Per un po’ sarà così.
Su, lo spirito non si uccide con dischi e streaming. Il portafogli degli artisti invece sì (e la questione del diritto d’autore è altra cosa ancora).
Abbiamo letto perfino, in queste settimane, che “se un’opera non si rappresenta scompare”. Il delirio, insomma. Sono dichiarazioni di gente fissata che non sa dove sbattersi (o da chi farsi sbattere); perlopiù giornalettismo presenzialista in eterna fregola. Non si contano, infatti, i piagnistei di gente che a teatro si siede senza mai sganciare un euro.
Chi ha su e giù la mia età è testimone, da vent’anni perché ha vissuto quelli del prima, di un’autentica rivoluzione; pandemia a parte, ammesso e non concesso che si possa metterla a latere.
Nessuno si è reso conto che la stragrande maggioranza delle performance sono già concepite per la fruizione mediata dai mezzi di riproduzione? Sarà questa della pandemia soltanto una tappa che ricorderemo certo senza nostalgie oppure in ballo c’è qualcosa di più profondo, sotto il profilo estetico? Non fateci vivere di ricordi, questo è certo. Ma provo a fare un elenco neppure troppo in disordine di cose avvenute negli ultimi vent’anni: 
 
- Restringimento dei posti a disposizione, per motivi di sicurezza.
- Sopratitoli o sottotitolazioni destinati ad accentuare privilegiandola la fruizione cinematografica del testo.
- Abbreviazione e soppressione di intervalli per rendere più compatta la fruizione.
- Voci indietro e che in teatro non corrono, a vantaggio di un generoso gioco scenico.
- Interesse sempre più preponderante per la componente visiva.
- Offerta esplosa di musica videoregistrata fruibile gratis su YouTube che, quando non la solletica per il neofita, diminuisce la fame di musica dal vivo.
- Nuovo pubblico e sempre più estemporaneo.
- Il general manager del Met mette in guardia dalla cannibalizzazione del cinema a proposito delle opere proposte là.
- Regie che traggono principale ispirazione dalla figurativa del cinema d’autore e da quella televisiva.

mercoledì 28 ottobre 2020

Su Cassavetes

Da 1.20:58 c’è Sul bel Danubio blu, primo scherzoso omaggio al volo kubrickiano che precede questo di tre anni. Sono sequenze bellissime, coi riflessi della città sul parabrezza dell’auto filmata di sbieco, dall’interno. Poi, come fossero stelle, le luci di Los Angeles con movimento della mdp da sinistra a destra; che siano state girate su all’Osservatorio Griffith? Qualche secondo prima di Strauss, ancora suonava nel cinema la Marsigliese di Casablanca. Là, nella sala, Minnie e Moskowitz si scambiano confessioni intime e sincere. Così comincia il momento più armonioso del film.

Non riesco in questi giorni a guardare altri film che quelli di Cassavetes, e cioè a riguardarli. Ho proprio bisogno della loro spontaneità studiatamente improvvisata, della libertà e della fisicità un po’ carnevalesca del campionario umano del regista, che pedina per strade e ambienti di New York e Los Angeles negli anni ‘70.

Per ricordo di Rosanna Carteri (1930-2020)

 Per ricordo di Rosanna Carteri (14 dicembre 1930 - 25 ottobre 2020), in questi giorni tristi del teatro.

"Till Eulenspiegel" diretto da Arturo Toscanini

 Il restauro esemplare di un’interpretazione strabiliante, che per me è la migliore in assoluto.

mercoledì 21 ottobre 2020

Figliano e figlieranno

 

Me li ricordo i naziskin che volantinavano a non più di cinquanta metri dalla Sinagoga, in via della Commenda, avvicinabile da chiunque fino al fatidico 11 settembre. Ci buttavano in mano un volantino a noi che andavamo al ginnasio. E avevi paura a rifiutarlo. Erano mostruosi, muti. Li sapevi capaci di una violenza implicita, necessaria. Bastava uno sguardo di sfuggita per sentirsela addosso. Ne ho rivissuta una parte guardando i “non mi piace” all’ultimo intervento di Liliana Segre.
Il video caricato qualche giorno fa conta 47 dislike. Invito a segnalare i commenti abominevoli.
Tralascio la questione se i “non mi piace”, qui o altrove, siano tanti o pochi dal momento che ne basterebbe uno soltanto a provocare le riflessioni che seguono. M’interrogo infatti su chi siano gli autori del pollice verso. Vorrei conoscere le loro identità, non necessariamente per aspetti legati a indagini di polizia postale, che resta fondamentale per i commenti. Troverei sacrosanto, infatti, se mai fosse possibile metterlo in pratica, che chi ha competenze avvicini questi utenti del dito all’ingiù (dubito siano visibili al proprietario del canale) per soccorrerli nel profondissimo, tenebroso e certo a me insondabile abisso in cui si dibattono; non importa se prima o dopo aver guardato il video (nessuno di loro l’avrà fatto).
Quali e quanti passaggi di formazione nella coscienza morale, etica e civile bisogna aver saltato per diventare così? Ci si nasce? Non credo.
In quali contesti si alimentano queste ignoranze e queste miserie che non immagino necessariamente svantaggiate dal punto di vista economico. Quali percorsi rieducativi - nel loro caso formativi tout court - bisogna far intraprendere a costoro? Penso sarebbe imperativo della collettività farsi carico di questi cittadini. Figliano e figlieranno.
Quali responsabilità ha la nostra organizzazione economico-sociale su tali realtà? Quali gli interventi da implementare adesso e subito? Sono tutti attivisti della destra estrema con pendenze giudiziarie in corso? Non credo. 
 
 

Per ricordo di Kashan

 


Poi per quelli come me cui piace far cavalcare la curiosità guardando le facce in luoghi e mezzi pubblici (chi sarà? che vita potrebbe avere? a cosa pensa?) la realtà delle mascherine è proprio mortificante. Ho finito di guardare la serie tv Marco Polo (Fusco, 2014-2016). Nulla di indimenticabile ma, con tutte le libertà del caso, fatti storici, volti di attori quasi tutti mongoli e cinesi, luoghi e costumi ispirati ai capitoli 75-103 del Milione sono capaci di portare lontano sguardo e immaginazione.
Di questi tempi ce n’è proprio bisogno.
Ho messo insieme i due fatti e mi è tornata in mente una foto che ho scattato a Kashan (Iran, 2016). Le avevo dato un titolo: Lontani discendenti di Gengis Khan attendono il turno di lavoro presso una casa tradizionale.

Le pagine del cuore

Così, a muzzo, aspettando che cuocia la pasta.

Pagine di opere della letteratura universale che sono incancellabili nel ricordo e che tornano in mente quando qualcuno fa cenno al “piacere della lettura”.
(La pasta l’ho mangiata):
 
- I campanili di Méséglise con gli interrogativi sulla capacità effettiva di saper scrivere. Ce li aveva Proust e figurarsi chiunque altro.
- La lavanderia di Martin Eden che ti fa condividere una fatica disperata.
- Oblomov che non si alza dal letto per le prime cento pagine.
- I denti incisivi di Fantine che ti fanno montare rabbia e dolore insopprimibili.
- Le ultime pagine di Sulla strada per sentire il groppo al cuore dell’età che se ne va.
- Il soliloquio di Molly Bloom, che si vorrebbe mandare a memoria.
- Il Sigismondo di Calderón che fa la sua tirata alla fine dell’atto secondo.
- Fermi davanti al ritratto di Sarrasine/Adone.
- D’Annunzio che mette fuoco nella notte settembrina di Venezia. Un mitomane, ma che mitomane.

Memorie postume di Brás Cubas






Totalmente conquistato da questo romanzo edito da Fazi Editore (so che in italiano esisteva solo un UTET 1983). Raramente ho letto qualcosa che fosse allo stesso tempo così universale e spassoso. Dentro il conformismo più nero del Brasile di metà Ottocento, risalta una provocazione continua, raffinata, leggerissima eppure implacabile, degna di un Luciano.

Invece che cullarci nell’illusione che esista progresso in una società arretrata, assistiamo alla riproduzione dell’arretratezza stessa con la massima chiaroveggenza disponibile; assolutoria per farcela apparire anzitutto come è veramente.
Autore brasiliano che disseppellisce altre realtà sotto quella borghese, come fecero da noi in Europa i più grandi innovatori letterari suoi contemporanei, Machado de Assis ha compilato qui un catalogo di ambiguità redatte in una costruzione avvincente, d’ironia vorticosa, istrionica e ferocissima. Dove c’è scampo se le doti civili sono compatibili con le trasgressioni di cui sono una copertura?
Ho finito gli aggettivi. Rimando ad uno dei capitoli più arguti: il quarantanovesimo.



martedì 20 ottobre 2020

I'm Thinking of Ending Things

 






Il Kaufman senza una n e senza grotteschi falsettini ha scritto e diretto un nuovo film che si guarda su Netflix dal mese scorso se non ci si lascia spaventare dal titolo parecchio respingente in questi dempi deprimenti: Sto pensando di finirla qui (I'm Thinking of Ending Things).
Tenuto conto che, tempo fa, era stato attivato un crowdfunding per far realizzare al grande sceneggiatore un nuovo lavoro, direi che il colosso dello streaming ci ha tolti d'imbarazzo. È un film bello, in un senso desolato e doloroso.
Siccome «un pensiero può essere più vicino alla verità, alla realtà, di un'azione», non aspettatevi la trama. Del resto, i film che non valgono nulla non hanno che quella.
Fonte d'ispirazione è il romanzo di Iain Reid che, grazie alla fotografia di un maestro quale Łukasz Żal, diventa cinema di sapore tarchovskiano capace d'intrecciare un colloquio a tu per tu con lo spettatore; la tormenta di neve materializzazione sullo schermo di fardelli e ferite che non si rimarginano evoca più di un tributo.
Anche la disarticolazione del fattore tempo riscatta e di molto la noia dell'ultimo Nolan. «Alle persone piace pensare di essere come punti che si muovono attraverso il tempo. Ma io penso che sia il contrario. Noi siamo fermi e il tempo passa attraverso di noi, soffiando come il vento freddo, rubandoci il nostro calore, lasciandoci screpolati e congelati. Non lo so. Morti.»
Ricordandoci che il colore è opera della luce (opera e sofferenza), il film testimonia l'inesistenza di una realtà obiettiva e forse servirà a qualcuno per conoscere pure Una moglie di Cassavetes al quale Kaufman riserva appassionata recensione.
Più penetrante che i riferimenti al suicidio di David Foster Wallace e alle liriche di Wordsworth, è quello diretto alla "società dello spettacolo" di Debord: lo spettacolo non può essere compreso come un mero inganno visivo prodotto dalla tecnologia dei mass media. È una visione del mondo che si è materializzata.
La stessa presa di posizione vale in bocca al protagonista Jake come un engagement d'écriture: «Guardi il mondo attraverso quel vetro preinterpretato per noi e infetta il nostro cervello; diventiamo quello. - Come un virus.»
Come quello inoculato dai brutti film fra i quali, è certo, bisogna escludere questo.

martedì 13 ottobre 2020

Soy Cuba / Columbus Day

 

 

 

«Io sono Cuba.
Una volta, qui sbarcò Colombo. Egli scrisse nel suo diario: "È la terra più bella che l'occhio umano abbia mai visto." Grazie, signor Colombo.
Quando lei mi vide per la prima volta io cantavo e ridevo. Salutai le vele con i miei pennacchi, credendo che mi avrebbero portato gioia.
Io sono Cuba. Le navi si portavano via il mio zucchero. E mi lasciavano... le lacrime.
Lo zucchero è una strana cosa, signor Colombo. In esso c'è tanto pianto, eppure è dolce.»

(Soy Cuba, Kalatozov, 1964)