giovedì 29 ottobre 2020

Sui teatri

 

L’articolo (https://www.wittgenstein.it/2020/10/28/la-storia-dei-teatri/?fbclid=IwAR38qh5-UGx93VoAz2WdktdDrAkNspL_9xgNvjzj66GR1ppSyVt7nHWiIT0) è superficiale, viziato da pregiudizio culturale (perché la Scala non sarebbe servizio pubblico?) ma valida è la presa di posizione di fondo. Sin qui il dibattito sui luoghi per musica è stato inquinato, scollegato com’è da una realtà profondamente mutata nei decenni.
Troppi confondono le necessità di chi fa musica con quelle di chi ne fruisce da spettatore. Certo: assistere dal vivo a opere e concerti offre opportunità senza raffronto rispetto alla fruizione domestica. Va anche detto che, per esperienza, ho verificato che coloro i quali si vantano di non possedere che due o tre dischi e, per converso, di assistere e d’aver assistito a migliaia di esecuzioni dal vivo (talvolta è puro presenzialismo), non capiscono nulla di musica. In un contesto repertoriale come il nostro, la cultura d’ascolto è fatta di confronti ragionati che si alimentano e perfezionano in casa, pure leggendo, perché farsi staccare il biglietto dalla maschera non basta.
È paradossale il veder ridicolizzato lo streaming da parte di un conduttore radiofonico la cui trasmissione vive grazie ad ascolti piratati su YouTube, ormai senza neppure muoversi da Roma se non per impegni professionali che presuppongono altri retributori.
Di cosa stiamo parlando allora? Di fruizione? No. Parliamo del lavoro di chi suona, di chi canta, di chi danza, di chi allestisce, di chi fa vivere un’istituzione musicale. C’est ça l’enjeu. Un artista ha bisogno di esibirsi e di crescere giorno per giorno in una realtà musicale a tutto tondo. Dobbiamo far sì che questo torni possibile al più presto e in condizioni ottimali. A queste tante realtà lavorative bisogna imperativamente dare conforto. In un paese in cui negli ultimi decenni è cresciuto il numero di ricchi, non dovrebbe essere difficile. Parliamo di lavoro, allora, non di fruizione.
Nei tempi che furono, durante le epidemie le compagnie chiudevano e si andava altrove. Il nostro altrove sono i mezzi di comunicazione. Per un po’ sarà così.
Su, lo spirito non si uccide con dischi e streaming. Il portafogli degli artisti invece sì (e la questione del diritto d’autore è altra cosa ancora).
Abbiamo letto perfino, in queste settimane, che “se un’opera non si rappresenta scompare”. Il delirio, insomma. Sono dichiarazioni di gente fissata che non sa dove sbattersi (o da chi farsi sbattere); perlopiù giornalettismo presenzialista in eterna fregola. Non si contano, infatti, i piagnistei di gente che a teatro si siede senza mai sganciare un euro.
Chi ha su e giù la mia età è testimone, da vent’anni perché ha vissuto quelli del prima, di un’autentica rivoluzione; pandemia a parte, ammesso e non concesso che si possa metterla a latere.
Nessuno si è reso conto che la stragrande maggioranza delle performance sono già concepite per la fruizione mediata dai mezzi di riproduzione? Sarà questa della pandemia soltanto una tappa che ricorderemo certo senza nostalgie oppure in ballo c’è qualcosa di più profondo, sotto il profilo estetico? Non fateci vivere di ricordi, questo è certo. Ma provo a fare un elenco neppure troppo in disordine di cose avvenute negli ultimi vent’anni: 
 
- Restringimento dei posti a disposizione, per motivi di sicurezza.
- Sopratitoli o sottotitolazioni destinati ad accentuare privilegiandola la fruizione cinematografica del testo.
- Abbreviazione e soppressione di intervalli per rendere più compatta la fruizione.
- Voci indietro e che in teatro non corrono, a vantaggio di un generoso gioco scenico.
- Interesse sempre più preponderante per la componente visiva.
- Offerta esplosa di musica videoregistrata fruibile gratis su YouTube che, quando non la solletica per il neofita, diminuisce la fame di musica dal vivo.
- Nuovo pubblico e sempre più estemporaneo.
- Il general manager del Met mette in guardia dalla cannibalizzazione del cinema a proposito delle opere proposte là.
- Regie che traggono principale ispirazione dalla figurativa del cinema d’autore e da quella televisiva.

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