lunedì 10 giugno 2013

Solo Dio perdona

"Only God forgives" è un'opera perfetta, al pari di "Bronson" e "Drive". Non c'è un solo fotogramma in più, né uno in meno, di quelli che dovrebbero esserci. In una Bangkok sporca e mitica, che in pochi altri lavori si è vista celebrare così bene, agiscono i quattro personaggi di una tragedia antica, incarnazioni di archetipi. Più il quinto, il fantasma di Bobby (Tom Burke), motore della vicenda che si consegna presto alla memoria degli spettatori con il viso di Peter Lorre, il mostro di Düsseldorf di Lang: a sua volta figura archetipica e ora maschera tinta di rosso, lo stesso colore emozionale ("touching") che illuminava "Pusher II - Sangue sulle mani" e che qui rischiara gli ambienti, solo dove e quando serve. Al poliziotto giusto e vendicatore è speculare l'antieroe bello, impotente ed edipico; alla madre grottesca e spietata la ragazza-sogno, etica e indifesa.
Anche il dosaggio dei registri è calibrato su chiasmi; mai nella filmografia di Refn umorismo surreale e violenza implacabile si erano temperati e scontrati con tanta efficacia. È lo stesso equilibrio manierista che si ritrova in immagini coltivate con rigore formale e ricercatissimo nitore; fra quelle di figurativa orientale, non se ne ammiravano così dagli anni '90 dei film di Kitano. E la trama lirica e fittissima costruita con musiche e suoni da Cliff Martinez è legata indissolubilmente alla drammaturgia. Non ha bisogno di sostenerla, perché aderisce alla stessa sintassi; è quello che si apprezza solamente nel grande cinema. Considerare Refn "il Tarantino europeo" è assolutamente fuorviante e riduttivo. Non solo la sua poetica affonda altrove la gran parte delle proprie radici, ma il suo fraseggio è nobilmente asciutto perché diffida - al massimo grado - di verbalismi e magniloquenza ammiccante. Qui il ritmo non è quello di "Valhalla Rising", però guarda alla sua impostazione mitologica; la morale non è quella di "Drive", ma la prospettiva è la stessa. Ora l'eroe Ryan Gosling si è tramutato nell'antieroe per allinearsi alle altre anime del film, guadagnando però quella più ontologicamente fragile e complessa, imprigionata nel proprio (rosso) labirinto di ossessioni e frustrazioni. Il film è significativamente dedicato al surrealismo magico e orrorifico di Alejandro Jodorowsky.

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