lunedì 26 novembre 2018

Bernardo Bertolucci su Max Ophüls

Lo posto qui un’altra volta perché è una lezione di umanità e di estetica che tutti dovrebbero ascoltare. In appena sette minuti Bertolucci manifesta un atteggiamento che sorprende per lucidità e febbricitante entusiasmo; entrambe attitudini che a se stessi si dovrebbe sempre chiedere nel confronto con l’arte. Più ancora che l’umiltà del regista difronte all’opera di un gigante - e ben al di là dell’opinione che si può avere su questo o quel film di Bertolucci - risalta qui l’itinerario di una conoscenza (che è quindi sempre confronto) maturata attraverso il tempo; tempo cui corrisponde una maturazione di coscienza, quella che l’arte forma tanto per l’artista quanto per il fruitore. Lo stesso vale o varrebbe per la musica, per la letteratura e per l’arte in genere. Penso, invece, che oggi al linguaggio bombastico della pubblicità (il biscotto di fabbrica? Divino! Superlativo!) corrispondano nella ricezione quella fretta, quel facile entusiasmo, quella fame presenzialistica che mangerebbe un’aragosta come fosse un panino, e viceversa. Su questo aspetto ci saranno già, forse, studi di sociologia o di scienze della comunicazione, ma io non li conosco.
La lezione di Bertolucci mi fa pensare che squittire senza argomenti per ogni sciocchezzuola, ogni “tributo a”, ogni baritono stonacchiante scambiato per un prodigio, ogni scopiazzatura, ogni possessore di bacchetta frainteso come una sorta di Fritz Reiner, ogni più o meno gradevole scrittore salutato quale portatore di verità intellettuali sia - se la parola non vi pare eccessiva - un impoverimento delle coscienze.
Al grigio e prevedibile culto della cultura sarebbe bello sostituire conoscenze, argomenti ed emozioni autentiche; alla retorica da rotocalco, insomma, lo studio e l’amore per la memoria viva. 


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