sabato 1 settembre 2018

Per la scomparsa del soprano Luisa Mandelli: un ricordo



Sento che al ritorno a Milano mi mancherà molto il suo saluto squillante, accompagnato da baci e prolungate prese di mano. Ed erano subito commenti sulle opere in scena; specialmente quelle alla Scala che insieme a Casa Verdi è stata il domicilio di Luisa Mandelli, classe 1922, scomparsa ieri nel capoluogo lombardo. 
Carriera la sua nel comprimariato, fra le stelle della lirica degli anni Cinquanta, e poi proseguita sempre in ambito musicale. Forte di una preparazione tecnica solidissima, la voce della Mandelli era intatta anche negli anni della vecchiaia. Una stagione che, per fortuna sua e nostra, ha vissuto a lungo e con tempra straordinaria, spendendo molte energie anche per affiancare i giovani nella formazione.
Penso che a chi pratica l’opera da musicologo la sensibilità di Luisa valesse molto come contributo nel rapporto fra testo ed esecuzione (infinita dialettica!) e per tenersi anni luce da certe abitudini e vezzi, riconoscendo bene un artista da un prodotto (o sottoprodotto) da agenzia.
Severa nei giudizi anche sui giovani - e sino alla spietatezza - la Mandelli era guidata da un amore viscerale per la musica che è stata davvero la sua vita. Una vera vestale dell’opera.
In quell’allegro sport che è diventata la critica musicale operistica, praticata perlopiù da traffichini e parvenu, l’opinione di Luisa si staccava sempre per acume ed incisività. Testimone diretta di una stagione irripetibile del Teatro alla Scala, perché prossima ai decenni in cui vivo era il sistema produttivo di nuovi titoli, Luisa - come altri che ho avuto la fortuna di conoscere (su tutti Tino Subiaghi) - possedeva intatta la grammatica del teatro d’opera: quel bagaglio di conoscenze maturate grazie a migliaia e migliaia di ore di ascolto dal vivo, spesso guadagnandosi il biglietto dopo lunghe ore di attesa al freddo, assistendo poi allo spettacolo dall’unico posto deputato ad equilibrata percezione di tutte le fonti sonore: le gallerie.
La Mandelli non nutriva alcuna simpatia per certi cascami del teatro di regia anni ‘80 - talvolta sino a non distinguerli da allestimenti di autentica fattura - ; molta, invece, ne provava per il canto che però, giustamente, da tempo trovava in notevole difetto sul piano qualitativo.
Anche nei confronti di chi negli ultimi anni (almeno due decenni!) l’ha tirata per la giacchetta come “Annina della Callas” al fine di supportare questa o quella battaglia d’opinione, Luisa manteneva perlopiù l’atteggiamento scettico di chi le ha già viste proprio tutte per lasciarsi coinvolgere sino in fondo. Lo stesso atteggiamento che le permetteva ridendo, con mano sulla fronte a coprire anche gli occhi, di sintetizzare un’intera serata. Lei che poi ti pigliava da parte per sussurrarti nell’orecchio “chel lì capiss nient”.

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