mercoledì 27 luglio 2016

Riguardando "Only Lovers Left Alive"





Only Lovers Left Alive uscì in Italia a un anno di distanza dalla presentazione a Cannes 2013 e rimane un film sano, bellissimo e orgogliosamente dissonante rispetto allo spirito del tempo. Il cinema ed il tempo di Jarmusch sono, infatti, quelli analogici che affondano le proprie radici, mitologiche e letterarie, addirittura nel vampirismo e in Adamo ed Eva.
La sequenza iniziale è memorabile. Sulle note graffiate di Funnel of love, una porzione nella vastità dell'universo congiunge nella propria rotazione oraria punti sideralmente distanti lungo i solchi di un vecchio vinile, nelle pieghe elettriche della memoria musicale mentre il protagonista carezza la carne viva di un liuto; fra i tanti corpi-strumento, una chitarra Gibson del 1930, ma anche le pagine di edizioni storiche di capolavori della letteratura mondiale. E i personaggi affidati alla Swinton, a Hiddleston e ad Hurt (che recitano in un inglese molto chic) sono certo i più raffinati sinora usciti dalla fantasia di Jarmusch. 
La morte del drammaturgo Marlowe, nella fantasia del regista sopravvissuto attraverso i secoli e deceduto in Marocco per essere iscritto in una composizione figurativa che rimanda a certa pittura cinquecentesca, mi fa tornare alla mente un passo dell'Immortale nell'Aleph di Borges: «Quando s'avvicina la fine, non restano più immagini del ricordo; restano solo parole. Non è da stupire che il tempo abbia confuso quelle che un giorno mi rappresentarono con quelle che furono simboli della sorte di chi mi accompagnò per tanti secoli. Io sono stato Omero; tra breve sarò Nessuno, come Ulisse; tra breve, sarò tutti: sarò morto.»
Per prolungare la propria esistenza c'è il sangue, che si sugge come l'assenzio in due città mitiche e perdute del Vecchio e del Nuovo continente: Tangeri e Detroit. Aristocratico, anticheggiante, polveroso Jarmusch; e sempre politico, tra le macerie del capitalismo nei luoghi di bellezza abbadonata così come negli sguardi severi fra i vicoli della medina; una dimensione che è insieme tragica e profetica, esasperata - come sempre nei suoi protagonisti - dal rifiuto all'integrazione sociale. Anche grazie al contributo di van Wissem, c'è qui un connubio perfetto di musica e cinema a marcare tracce letterarie ed ideologiche in una prospettiva narrativa giocata su diversi livelli, in questo soggetto ben più che nei precedenti. 
Solo chi ama rimane vivo; è un rispetto profondissimo per il mondo e per l'arte. I cosiddetti esseri umani, quelli che credono di vivere - quando, in realtà, si limitano ad esistere - perdono gusti, parole, gesti e restano immemori del passato, senza cura per il futuro. Per loro sì che il presente è buio.

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