lunedì 21 settembre 2015

"Metropolis" al Teatro degli Arcimboldi




Due brevi riflessioni sul concerto-proiezione di ieri sera, cui avevo già assistito alla Scala nel 2011.
L'Arcimboldi era gremito e le luci della sala si sono abbassate con venti minuti di ritardo per permettere a tutti di prendere posto. Il pubblico, che era di varia estrazione, ha accolto l'esecuzione con appalusi scroscianti: un vero successo. Tanti erano in teatro anche i giovani spettatori, e non quelli 'fantasma' cui qualcuno ama riferirsi quando si tratta di spettacoli d'opera in località non ben identificate. Mi domando perché, progettando i cartelloni delle stagioni lirico-sinfoniche, non si punti con determinazione ad inserire concerti-proiezione di capolavori del cinema muto, piuttosto che ostinarsi a riproporre la milionesima recita di Traviata e di Bohème in versione finto-pop per sedurre chissà quale nuovo pubblico. È quella un'affabulazione mal riuscita, a differenza di ciò che offre una serata come quella di ieri; anche a scopo 'didattico', per far conoscere al pubblico - grazie a partiture tutt'altro che disprezzabili - quale sia il potere 'illustrativo' della musica (tornano in mente le riflessioni intorno alla musica a programma). Per spettatori a digiuno di cultura dell'ascolto, è infinitamente più invitante una serata come quella di ieri, a contatto con una forma che conoscono bene (il cinema), piuttosto che un approccio fuggitivo con l'opera lirica (che andrebbe fatta, ma con congnizione di causa).
L'altra osservazione riguarda la partitura di Huppertz e un passo in particolare: la prima apparizione del robot, in tutta la sua metallica lucentezza. La disposizione degli strumentisti della Filarmonica della Scala, in parte collocati ai lati dello schermo, mi ha consentito di riconoscere anche visivamente come, in quel passo, siano impegnati celesta, glockenspiel e triangolo, che suonano sugli armonici dei violini. Sono gli stessi strumenti impiegati nel Rosenkavalier di Strauss (1911) nell'atto secondo (quattro prima di 25, Ziemlich langsam). Là per far brillare alle nostre orecchie lo splendore della rosa d'argento; qui per evidenziare altrettanta nitidezza di luci e forme. 

Pubblico in calce il programma di sala di ieri sera, di cui sono autore:
 
Attualità di un capolavoro
di Francesco Gala

Nell'eredità che l'arte del '900 ha consegnato alle presenti e future generazioni, un posto privilegiato spetta a Metropolis, fra i capolavori di Fritz Lang e dell'intera storia del cinema. È l'opera germogliata nel contesto politico e culturale di quell'irripetibile esperienza che fu la Repubblica di Weimar, in un'Europa ancora estranea alle tragedie dei totalitarismi novecenteschi che ci hanno consegnato, sostanzialmente, un bilancio univoco del secolo scorso: quello di un secolo di orrori, stretto tra tre guerre mondiali (fredda la terza) e liberatosi solo nel 1989, data alla quale corrisponderebbe addirittura la fine della Storia. Invece, dopo tante drammatiche esperienze, da non da rimpiangere affatto, sono ancora tutti là - o meglio qui e in Metropolis - gli interrogativi e le speranze di un mondo alla ricerca di un rinnovato rapporto tra economia e lavoro. E chissà se i prossimi decenni ci vedranno partecipi di un nuovo patto sociale o dello sgretolamento del capitalismo o di molto altro ancora. Certo, il film di Lang si dimostra nuovamente capace d'interpretare il presente, di lasciar intravedere il futuro e soprattutto d'interrogarlo: valga il finale, che testimonia, per alcuni, la conciliazione degli aspetti principali della socialdemocrazia (capitale e lavoro); secondo altri, si tratta di una conciliazione che prefigura però modi tutt'altro che democratici: quelli che la Storia del '900 ci ha dolorosamente insegnato. Lang, che intrattenne una lunga esperienza di collaborazione con la moglie Thea von Harbou, sceneggiatrice ed autrice del soggetto - già pubblicato in un romanzo del 1926 - aveva però previsto un finale differente e non poco nichilista: i due innamorati sarebbero partiti su un razzo lasciando la città in preda al caos. E, segno di un niente affatto pacificato rapporto col materiale narrativo, la nuova versione del romanzo pubblicata a puntate nel 1926 eliminò il robot - ed è un fatto sorprendente - costruendo il dualismo bene/male attorno a Maria e ad una sua sorella: Annelie. Poi il destino dei creatori di Metropolis prese vie diverse: la von Harbou entrò a far parte del Partito Nazional Socialista Tedesco del Lavoratori, un fatto che non poco contribuì alla sua separazione da Lang, nel 1933: l'anno di un altro grande film (Il testamento del dottor Mabuse). Il regista lasciò la Germania per trasferirsi a Parigi e da lì negli Stati Uniti, mentre lei fu arrestata dagli inglesi alla fine della guerra. Morirà nel 1954.
Anche da un punto di vista strettamente cinematografico, Metropolis è punto d'arrivo e di partenza. Si tratta, infatti, del titolo più eclettico ed innovativo della produzione tedesca degli anni di Weimar: per i materiali, i riferimenti e, più in generale, perché è l'opera che anche sul piano iconografico e drammaturgico si pone come una sorta di ricapitolazione di tutte le esperienze fin là compiute; quasi un limite estremo del campo in questione. E, al tempo stesso, questo film ha aperto la strada al futuro del cinema.
E a noi, che abbiamo oggi il privilegio di assistere all'esecuzione dal vivo della colonna sonora, su quale tra le tante chiavi di lettura del film ci dobbiamo concentrare? Va subito ricordato che dal 2008, anno del fortunato ritrovamento delle molte sequenze sino ad allora ritenute perdute (Buenos Aires, presso il Museo del Cine), possiamo - a seguito di un'accurata reintegrazione della pellicola - guardare Metropolis nella versione più completa a nostra disposizione (148'); e proprio per merito di Frank Strobel possiamo ora godere nel modo più autentico anche della componente sonora della pellicola: è lui che ha curato adattamento, sincronizzazione e orchestrazione delle musiche di Gottfried Huppertz (1887-1937) per molti anni scorciate, adattate alle differenti e mutili versioni del film.
Tanto più che proprio la musica di Huppertz ci agevola nel penetrare quest'opera essendo tale essa stessa: Metropolis, opus 29 (1927). Il compositore, che diresse l'orchestra alla prima proiezione (10 gennaio 1927), aveva già lavorato con Lang per la serie formata dai due film epico-fantastici Die Nibelungen; anche in questo caso la colonna sonora è parte integrante della drammaturgia del film. L'organico è quello di un'orchestra sinfonia tardo-romantica con due 'intrusioni': l'organo e i sax contralto, in accordo con altrettante situazioni richieste dalla pellicola. E la narrazione filmica è sostenuta da motivi conduttori che aiutano a chiarirla, a penetrare nei personaggi, nei loro stati d'animo, a distinguere ed accostare diverse situazioni che scorrono sullo schermo; non possiamo mai dimenticare che il cinema è debitore del genio visionario di Richard Wagner. Tra i molti motivi musicali facili da identificare, insieme a quello festante della prime immagini della città Metropolis (lo stesso impiegato per accompagnare le sequenze della torre di Babele), c'è il tema del Mediatore che, grazie alla sua frase cantabile, è lirico ed accorato; oppure quello percussivo e dissonante che si ascolta nei molti fotogrammi riservati alla fabbrica sotterranea che improvvisamente - in sincrono con l'immagine - emette il suono apro di una sirena. Non mancano le citazioni, quali la Marseillaise: brano celeberrimo che anche qui - come in La nuova Babilonia di Kozincev e Trauberg (musiche di Šostakovič, 1929) - è sottoposto ad un trattamento deformate, in conformità con la situazione drammatica. Ed è musicale anche la scansione temporale del film, diviso in tre parti: I. Auftakt (Preludio); II. Zwischenspiel (Intermezzo); Furioso.
Soprattutto siamo chiamati dall'orchestra a giocare un ruolo attivo guardando Metropolis. Fate attenzione al Moloch, il mostro-macchina che si ciba di operai: là, dopo un'insostenibile progressione (che meraviglia quella al termine della Corazzata Potëmkin!) la musica tocca l'apice della tensione drammatica. Quei tremendi accordi li riascoltiamo prima nel racconto di Freder al padre, come reminiscenza di quanto accaduto nel sottosuolo, e poi per identificare lo spietato Rotwang, scienziato ed inventore del robot che dovrà spingere gli operai a distruggere le macchine; e con esse la città. Scienza e capitale: anche questi aspetti ci dimostrano quali e quanto siano inquietanti, irrisolti gli interrogativi proposti nel film di Lang.





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