venerdì 7 marzo 2014

Snowpiercer

Dopo l'uscita di "Snowpiercer", non possiamo che ridimensionare i nostri discorsi sul film di Sorrentino, 'pro o contro' che siano. La Corea del Sud è una repubblica di 50 milioni di abitanti che possiede, come sostengono gli economisti, molti vantaggi comparati simili all'Italia: se crediamo alle statistiche, nel 2040 sarà il terzo paese al mondo per reddito pro capite. Oggi è in grado di produrre un film costato 38,2 milioni di euro e che allinea un cast in cui, fra gli altri, figurano Tilda Swinton (una metamorfosi perfetta), Chris Evans, John Hurt e Jamie Bell: insomma, le star americane e inglesi. Regista di indiscusso talento e autore del soggetto (ma la fonte è francese) è Bong Joon-ho che ha diretto film come "The Host" (2006), produzione dalla forte identità ma pensata per il grande pubblico, e anche il terzo episodio di "Tokyo!", film a sei mani con Gondry e Carax; insomma, a proprio agio tanto in un'affollata multisala di Seoul quanto in un europeo cinema d'essai. Oltre la metafora ecologista-classista-hobbesiana (ennesima declinazione dell'homo homini lupus), qui è in gioco una trama che mette al centro la responsabilità morale e individuale; con esito così spietato da lasciare che volontà ed evento naturale si trovino, per un momento, sullo stesso piano; e abbandonando i sopravvissuti al destino di ri-trovarsi di fronte ad un altro, paritario, essere vivente. Sullo schermo, il cinema di Joon-ho muta pelle in continuazione; e lo fa cambiando con frequenza registri ritmo e trattamento, fedele ad un'estetica orientale aggiornata però alla più attuale sensibilità figurativa così come alla tecnica cinematografica (notevole il lavoro sul suono). Il risultato è destinato a spiazzare molti spettatori occidentali; siamo abituati (forse da troppo tempo?) ad una netta distinzione di registri, che rispecchia quella di genere: principalmente, drammatico o commedia. Qui invece la metamorfosi stilistica ci accompagna in crescendo fino alla scoperta di una verità ciclica e feroce più di quanto non si immagini.
Ah, quasi dimenticavo: la bella colonna sonora - ferrosa e straniante quando serve - è dell'italoamericano Marco Beltrami, già candidato all'Oscar. Ha studiato con Jerry Goldsmith e lavorato con Luigi Nono. Tra gli infiniti nomi coreani che scorrono nei titoli di coda si legge anche il suo.


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