lunedì 12 maggio 2014

Da Fellini a Fellini


Mi sono trovato a riflettere sulla filmografia di Federico Fellini e a quanto trovi istintivo dividerla in tre periodi. Il primo va dagli esordi sino a Le notti di Cabiria; il secondo comprende, insieme, La dolce vita e 8 ½, includendo tanto Le tentazioni del dottor Antonio in Boccaccio '70 quanto Giulietta degli spiriti (corollario quasi naturale di 8 ½). Il terzo periodo - che si estende sino all'ultimo film - lascia liberamente germogliare il percorso creativo lungo due direttrici principali: quella letteraria - che include Fellini Satyricon e Il Casanova - e quella biografica di Roma e Amarcord; ma, a ben vedere, la prima non è meno personale della seconda. Questo terzo percorso creativo, infatti, si è venuto delineando, prima, attraverso una sensibilità mai facile a specchiarsi nitidamente nel neorealismo ma che pur da esso mosse il passo; poi, dalla crisi feconda che unisce La dolce vita e 8 ½ e della quale il primo film è il presupposto per il secondo. Non possiamo, dunque, che leggere in questa prospettiva unificante il soggetto Guido Anselmi (che è poi tale proprio perché inteso filosoficamente come Soggetto) il quale, al termine di 8 ½, ha finalmente trovato comprensione nella moglie Luisa; novella Beatrice dantesca, ma à l'envers poiché vittima tradita ma complice, non già guida superiore e divina. A lei il protagonista si può unire in danza conducendola in girotondo all'oggetto intero del proprio interesse: il mondo stesso, che è anche il cinema. Cito La Divina Commedia perché, come si sa, è fonte d'ispirazione fra le principali della Dolce vita e si riflette, pertanto, anche in 8 ½; in modo particolare nel finale. Infatti, sotto il tavolo della conferenza stampa, nel tentativo di suicidarsi (o nella tentazione di farlo), Guido ha la visione della propria madre: sul fondo il mare in una prospettiva che riporta alle straordinarie sequenze conclusive del capolavoro felliniano. Qui Paola, la figura femminile della Speranza, è sostituita dalla madre del protagonista, che per un istante gli fa cenno con la mano, il braccio proteso: dunque, non più il sorriso enigmatico e la mimica muta della personificazione cristiana della Grazia (Paola), ma una figura assai presente nel film e che appartiene, con evidenza, alla storia della vita di Guido. La proposta di salvezza - questa volta raccolta compiutamente o, almeno, filtrata nell'istantanea della dimensione onirica – giunge, insomma, non da un atto divino ma dalla propria, affettuosa esperienza biografica. Mi paiono questi i tratti che accomunano la poetica di Fellini ad una dialettica di riconciliazione degli opposti tipica dell'idealismo: da un lato, infatti, Claudia che rimanda a categorie estetiche e di pensiero facilmente associabili alla Grecità, alla Purezza, al colore bianco, al luogo della fonte; dall'altro lato, le donne tutte, il Cattolicesimo, il senso del peccato, il colore nero, le parole al posto del silenzio (eppure il dialogo di Guido con Claudia, in automobile, è la chiave di volta dell'intera opera). È Guido stesso a rivelarci che l'inizio del film (Claudia) è in realtà (o avrebbe dovuto essere) la sua felice conclusione; del resto, il film in se stesso (la parte restante è da intendersi come un epilogo) termina con la riproposta del tema wagneriano noto come La cavalcata delle valchirie (che è impiegato anche al principio del film, durante la passeggiata termale). Oppure, assecondando il mutevole punto di vista del protagonista, il lavoro inizia con la Sinfonia rossiniana e l'improvvisa apparizione di Claudia alla fonte; altra antinomia conciliata, questa volta musicale e tutta, sempre, nella prolifica mente di Guido. Insomma, Rossini versus Wagner; classicismo versus romanticismo; nitida ed asciutta melodia rossiniana versus violente sonorità degli ottoni wagneriani. Anche in termini cari all'ermeneutica, tutto il film, pone in relazione simbiotica il piano della realtà e quello della sua rappresentazione, e viceversa. Ma, per Fellini, dopo aver conciliato soggetto e oggetto al termine del lavoro, è solo la rappresentazione a rivelarsi classica, nitida e greca; la realtà rimane, ricomponendo a ritroso il film, luogo assai meno addomesticabile perché edificato su parole mai abbastanza soppesate dagli esseri umani.
Capolavori come Fellini Satyricon e Il Casanova si iscrivono, dunque, in questo orizzonte classico (si direbbe, neo-idealista) tanto quanto i contributi più “biografici” del regista: entrambi, infatti, trovano origine in quel capolavoro immortale che è 8 ½ proprio in una prospettiva di risoluzione di una crisi creativa generatasi a seguito della Dolce vita; la stessa crisi che si rivelò così propulsiva da pacificare l'autore con se stesso. 


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