Per testo e interpretazione che convivono, la struttura ricorda quella di Fuoco pallido (Nabokov). Qui, però, il ruolo di esegeta spetta a Stravinsky, presto alle prese col Monumentum. Il russo scopre per le vie di Napoli - e legge in traduzione col lettore - un apocrifo (falso? autobiografia?) della vita del principe assassino, dal convento alla morte. E si ritrova come noi tuffato in rabbuiamenti gotici e riverberi caravaggeschi: quelli più adatti a restituire vita, mito e musica di Gesualdo. Nella sua come in quella di Stravinsky - ma anche nella prosa di Tarabbia - «c’è in scena il mondo che la precede e che la avvolge». Ed è felice intenzione anche quella di dialogare coi padri «dando loro un linguaggio nuovo che ce li renda vicini»; sono tutte parole di un fervente stravinskiano che ha ricevuto dal Maestro lo stesso libro raro che l’autore inventa per noi.
Le fonti sono molto ben amalgamate per costruire invenzioni e sciogliere dialoghi.
Se antipatiche sono le troppe lodi riportate sul retro copertina (l’industria culturale predilige lo strillo), il romanzo merita attenzione specialmente laddove, senza smarrire l’itinerario di senso, accende con stile e registri adeguati i molti luoghi che sanno di umore, di sesso, sangue, budella, fra stridio di catene. È così che il protagonista guadagna statura da Enrico VIII, circondato com’è da concubine e fattucchiere, preti e servi, consumato dalla memoria del delitto, dalla tirannia dell’erede e dal vagheggiamento di un VII libro. Ah - vuol dirci - non fosse stata strappata al noviziato la vita mia consacrata alla musica!
[fra gli appunti, prima di morire]
«Si cade in un pozzo, si continua a cadere, si ripercorre la propria vita al contrario e si chiede perdono mentre si incontrano le persone che hanno avuto una parte nella vita nostra, anche coloro che abbiamo incontrato per un solo momento, coloro che non abbiamo veduto ma che ci hanno pensato, e della cui vita abbiamo occupato una piccola porzione di spazio, di tempo, ci si confessa e si chiede perdono, ma lo si dona, anche, perché tutti si cade, tutti si scende, tutti ci si incontra e tutti si chiede scusa, mia madre, il padre mio, Luigi fratello, Emanuele e Alfonsino figli amati, Giulio, Carlo di Milano, Maria Maria Maria Maria»
«Si cade in un pozzo, si continua a cadere, si ripercorre la propria vita al contrario e si chiede perdono mentre si incontrano le persone che hanno avuto una parte nella vita nostra, anche coloro che abbiamo incontrato per un solo momento, coloro che non abbiamo veduto ma che ci hanno pensato, e della cui vita abbiamo occupato una piccola porzione di spazio, di tempo, ci si confessa e si chiede perdono, ma lo si dona, anche, perché tutti si cade, tutti si scende, tutti ci si incontra e tutti si chiede scusa, mia madre, il padre mio, Luigi fratello, Emanuele e Alfonsino figli amati, Giulio, Carlo di Milano, Maria Maria Maria Maria»
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