lunedì 26 maggio 2014

"Solo gli amanti sopravvivono"

“Solo gli amanti sopravvivono” è uscito in Italia a un anno di distanza dalla presentazione a Cannes; è un film sano, bellissimo e orgogliosamente dissonante rispetto allo spirito del tempo. La sequenza iniziale è memorabile. Sulle note graffiate di “Funnel of love”, una porzione nella vastità dell'universo congiunge nella propria rotazione oraria punti sideralmente distanti lungo i solchi di un vecchio vinile, nelle pieghe elettriche della memoria musicale mentre il protagonista carezza la carne viva di un liuto; fra i tanti corpi-strumento, una chitarra Gibson del 1930, ma anche le pagine di edizioni storiche di capolavori della letteratura mondiale. 
Doppiaggio non male; ma è davvero altra cosa l'inglese chichissimo di tre stelle del cinema britannico quali Swinton, Hiddleston e Hurt, alle prese con i personaggi più raffinati sinora usciti dalla fantasia di Jarmusch. Il sangue si sugge come l'assenzio in due città mitiche e perdute del Vecchio e del Nuovo continente: Tangeri e Detroit. Aristocratico, anticheggiante, polveroso Jarmusch; e sempre politico, tra le macerie del capitalismo nei luoghi di bellezza abbadonata così come negli sguardi severi fra i vicoli della medina; dimensione insieme tragica e profetica, esasperata - come sempre nei suoi protagonisti - dal rifiuto all'integrazione sociale. C'è un connubio perfetto di musica e cinema (che lavoro, van Wissem!), a marcare anche tracce letterarie e ideologiche in una prospettiva narrativa giocata su diversi livelli, in questo soggetto ben più che nei precedenti. 
Solo chi ama rimane vivo; è un rispetto profondissimo per il mondo e per l'arte. I cosiddetti esseri umani, quelli che credono di vivere quando - in realtà - solo esistono, perdono gusti, parole, gesti; immemori del passato e senza cura per il futuro. Per loro sì che il presente è buio.






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