Mi sono trovato a riflettere sulla
filmografia di Federico Fellini e a quanto trovi istintivo dividerla
in tre periodi. Il primo va dagli esordi sino a Le notti di
Cabiria; il secondo comprende, insieme, La dolce vita e 8
½, includendo tanto
Le tentazioni del dottor Antonio
in Boccaccio '70
quanto Giulietta degli spiriti (corollario quasi
naturale di 8 ½). Il terzo periodo - che si estende sino
all'ultimo film - lascia liberamente germogliare il percorso creativo
lungo due direttrici principali: quella letteraria - che
include Fellini Satyricon e Il Casanova - e quella
biografica di Roma e Amarcord;
ma, a ben vedere, la prima non è meno personale
della seconda. Questo terzo percorso creativo, infatti, si è venuto
delineando, prima, attraverso una sensibilità mai facile a
specchiarsi nitidamente nel neorealismo ma che pur da esso mosse il
passo; poi, dalla crisi feconda che unisce La dolce vita e 8
½ e della quale il primo film è
il presupposto per il secondo. Non possiamo, dunque, che leggere in
questa prospettiva unificante il soggetto Guido Anselmi (che è poi
tale proprio perché inteso filosoficamente come Soggetto)
il quale, al termine di 8 ½,
ha finalmente trovato comprensione nella moglie Luisa; novella
Beatrice dantesca, ma à l'envers poiché vittima tradita ma
complice, non già guida superiore e divina. A lei il protagonista si
può unire in danza conducendola in girotondo all'oggetto intero del
proprio interesse: il mondo stesso, che è anche il cinema. Cito La
Divina Commedia perché, come si
sa, è fonte d'ispirazione fra le principali della Dolce
vita e si riflette, pertanto,
anche in 8 ½;
in modo particolare nel finale.
Infatti, sotto
il tavolo della conferenza stampa, nel
tentativo di suicidarsi (o nella tentazione di farlo), Guido
ha la visione della propria madre: sul fondo il mare in una
prospettiva che riporta alle straordinarie sequenze conclusive del
capolavoro felliniano. Qui Paola, la figura femminile della Speranza,
è sostituita dalla madre del protagonista, che per un istante gli fa
cenno con la mano, il braccio proteso: dunque, non più il sorriso
enigmatico e la mimica muta della personificazione cristiana della
Grazia (Paola), ma una figura assai presente nel film e che
appartiene, con evidenza, alla storia della vita di Guido. La
proposta di salvezza - questa volta raccolta compiutamente o, almeno,
filtrata nell'istantanea della dimensione onirica – giunge,
insomma, non da un atto divino ma dalla propria, affettuosa
esperienza biografica. Mi paiono questi i tratti che accomunano la
poetica di Fellini ad una dialettica di riconciliazione degli opposti
tipica dell'idealismo: da un lato, infatti, Claudia che rimanda a
categorie estetiche e di pensiero facilmente associabili alla
Grecità, alla Purezza, al colore bianco, al luogo della fonte;
dall'altro lato, le donne tutte, il Cattolicesimo, il senso del
peccato, il colore nero, le parole al posto del silenzio (eppure il
dialogo di Guido con Claudia, in automobile, è la chiave di volta
dell'intera opera). È Guido stesso a rivelarci che l'inizio del film
(Claudia) è in realtà (o avrebbe dovuto essere) la sua felice
conclusione; del resto, il film in se stesso (la parte restante è da
intendersi come un epilogo) termina con la riproposta del tema
wagneriano noto come La cavalcata delle valchirie (che è
impiegato anche al principio del film, durante la passeggiata
termale). Oppure, assecondando il mutevole punto di vista del
protagonista, il lavoro inizia con la Sinfonia rossiniana e
l'improvvisa apparizione di Claudia alla fonte; altra antinomia
conciliata, questa volta musicale e tutta, sempre, nella prolifica
mente di Guido. Insomma, Rossini versus Wagner; classicismo
versus romanticismo; nitida ed asciutta melodia rossiniana
versus violente sonorità degli ottoni wagneriani. Anche in
termini cari all'ermeneutica, tutto il film, pone in relazione
simbiotica il piano della realtà e quello della sua
rappresentazione, e viceversa. Ma, per Fellini, dopo aver
conciliato soggetto e oggetto al
termine del lavoro, è solo la rappresentazione a rivelarsi
classica, nitida e greca; la realtà rimane, ricomponendo a ritroso
il film, luogo assai meno addomesticabile perché edificato su parole
mai abbastanza soppesate dagli esseri umani.
Capolavori come Fellini Satyricon
e Il Casanova si iscrivono,
dunque, in questo orizzonte classico (si direbbe, neo-idealista)
tanto quanto i contributi più “biografici” del regista:
entrambi, infatti, trovano origine in quel capolavoro immortale che è
8 ½ proprio in una
prospettiva di risoluzione di una crisi creativa generatasi a seguito
della Dolce vita; la
stessa crisi che si rivelò così propulsiva da pacificare l'autore
con se stesso.
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