lunedì 7 maggio 2018

Ermanno Olmi (1931-2018), in memoriam





Forse la visione più adatta a salutare Ermanno Olmi è quella del suo Giotto, filmato per Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce di Haydn. Spero che il tributo delle istituzioni - specie nella nostra regione - sia all’altezza del momento, anche se temo il contrario.
Olmi è stato il nostro regista, isolato e stanziale come i due film d’esordio: Il tempo si è fermato, Il posto. E, nonostante I fidanzati che tanto piaceva a Godard, Olmi ci mise vent’anni a diventare un cineasta internazionale e trenta a lasciare i set del nord Italia per produrre il suo primo film internazionale nella Parigi reale (come set): La leggenda del santo bevitore. Come ricorda Ghezzi in uno scritto del 1989, quella è una Parigi filtrata, tradita, inventata, «anch’essa sur place, sul posto, come momento di cinema che non ha bisogno di muoversi perché tutto è già presente in esso». 
Olmi, infatti, è stato soprattutto il Maestro, forte di un’etica che non lo vide mai piegarsi a compromessi e cedimenti alle mode, alle leggi del mercato. Lo ha distinto una facoltà creatrice “rinascimentale”, che ha mantenuto sino all’ultimo, essendo una delle poche figure in grado di dominare tutti gli aspetti realizzativi di un film. Per lui il patrimonio artigianale del cinema non era affatto disperso, cancellato.
Legato ai luoghi e alla Storia, il cinema di Olmi cantava l’uomo come misura delle cose. Il suo film che amo di più è quello che al principio del nuovo secolo rivitalizzò un filone oggi - ahimè - disseccato: quello del film storico, “in costume”. Un genere sostanzialmente abbandonato dal cinema nostrano che canta soprattutto dolorini microborghesi avvolti nel rassicurante contesto estetico del benessere, per dare allo spettatore quello che vorrebbe nella vita.
È là, nel Mestiere delle armi, che Olmi dialoga forse al grado massimo e in maniera assolutamente inedita con autori monumentali, trovando (anzi, ritrovando) nel racconto quella dimensione che è cristiana e al contempo universale, partecipe dell’uomo e delle cose attraverso la memoria che le anima, specie se avvolte nella nebbia di un mattino lombardo.
Le parole del suo umanissimo eroe Giovanni dalle Bande Nere sul letto di morte sono semplici perché integre: «Vogliatemi bene quando non ci sarò più».

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