Tra le interpretazioni che ci lascia Roberta Peters, scomparsa l'altro
ieri, occupa un posto speciale Don Pasquale: la sua Norina è una
scarica di fuochi d'artificio. Per averne prova è sufficiente ascoltare
il duetto con Malatesta in cui la varietà di accenti convocati per dare
spessore alle gradazioni emotive che dividono la donna sentimentale
dalla civetta, quella appassionata dalla furiosa, è memorabile e forse
senza raffronti; il tutto con una forza interpretativa interamente
risolta nello spartito, nella musica. C'è qui infatti, in poche
battute, un saggio di tipi e caratteri che appartengono al bagaglio
espressivo della cantante ottocentesca; un repertorio di affetti che si
contempla quasi in citazione, fedeli a Donizetti che affidando Norina
alla Grisi omaggiava in questo modo l'artista.
C'è nella Peters
tutta la sapienza tecnica di far sembrare facile quello che non lo è
affatto: le salite al do naturale, ad esempio, sono vere e proprie
folgori, rese con morbidezza e lucentezza stupefacenti.
A rendere
speciale l'ascolto contribuisce in modo determinante la bacchetta di
Thomas Schippers. Con lui l'Allegro marziale si carica di un tono
parodistico assolutamente appropriato: «il gran cimento» di aggirare Don
Pasquale sta tutto nei colori e nelle sincopi di una marcia alla Luigi
Filippo che anticipa certi tratti di Offenbach.
Beati coloro che erano al Met quella sera e fortunati noi che possiamo ancora goderne.
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