Nell'aprile 2001 muore Giuseppe Sinopoli dirigendo Aida a Berlino. In
cartellone alla Scala resta da colmare un grande vuoto: il podio di Turandot. Arriva nientemeno che Georges Prêtre. Non dirige più opere
da tempo ma farà un'eccezione e per fortuna non sarà l'unica.
Felicissimo perché disperavo di poterlo ascoltare in altro che non fosse
un concerto, seguo anche le prove: il recente Le martyre de
Saint Sébastien era stato una folgorazione ed impossibile da
dimenticare il Ravel con Ciccolini.
È
assai severo con l'orchestra; ha una visione precisa, personalissima
perché si tratta di una vera rilettura, come accade spesso col Maestro. I
suoi tempi, specie nelle ampie pagine del coro, sono insoliti: l'intesa
va costruita. Ma in una Scala a tinta unita si respira adesso
un'atmosfera da anni '70: quel nome in cartellone!
Due, in
particolare, i passi che non dimenticherò mai; per prima, l'invocazione
alla luna. Mimesi di una fascinazione collettiva, morbosa, arresasi alla
sofferenza provocata da un desiderio frustrato, la pagina nelle mani di
Prêtre sembrava avvitarsi su se stessa: distesa, amorevole e
implacabile non conduceva verso alcuna facile catarsi, indugiando invece
fra le tinte opalescenti dei legni. Per secondo, il coro in lode di
Altoum che con Prêtre guadagnava un'amplificazione oratoriale assolutamente
inedita: era dilatazione dello spazio sonoro capace di sfruttare appieno
la rifrazione delle percussioni nella sala. Qui il gesto del direttore
possedeva una forza magnetica, trascinante. Pareva di vederla sfilare la
fama imperiale dei diecimila anni lungo i bastioni della Grande Muraglia.
La registrazione non è su YouTube ma ci si può consolare con molto altro. Io, ad esempio, amo tantissimo il suo Strauss.
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