Non sono anni d'oro per il cinema francese e non lo solo neppure per
quello italiano; ma bisogna fare attenzione a non lasciarsi sfuggire i
film importanti.
Tra questi c'è Cosmos, opera del grande Andrzej
Żuławski che ha vinto il Pardo per la miglior regia al Festival di
Locarno 2015. Non godrà certo della distribuzione che ha meritato Inherent Vice di Paul Thomas Anderson, ma come quello trae il soggetto
da uno scrittore fra i grandi del Novecento: là Thomas Pynchon e qui
Witold Gombrowicz. Sono, per diversi aspetti, due film da guardare e da
leggere l'uno accanto all'altro. Fra le tante qualità, in Cosmos
agiscono attori di comprovato talento, diretti con quella carnale
comunicativa che Żuławski sa provocare come pochissimi altri. Ed è un
lavoro nel quale, come in L'amour braque (1985), lo spettatore è nella
rara condizione di sorprendersi ad ogni nuova sequenza. La freschezza del settantaquattrenne Żuławski, insomma, ha molto da insegnare ai giovani autori.
Travalica la dimensione didattica, e di molto, il nuovo film di Aleksandr Sokurov (Francofonia) per rivelarsi qual è: un accorato appello a difendere le ragioni del bello dalle barbarie della guerra e del potere (tema, quest'ultimo, assai caro al regista). E la sollecitazione è così pressante da far anticipare i titoli di coda al principio, in modo tale che, dopo la visione, lo spettatore - lasciato alle proprie riflessioni - si alzi dal proprio posto congedato con un breve postludio strumentale che accompagna sullo schermo un melange di colori (evocazione sonora e visiva della guerra). Di notevole impatto è il dialogo a tre che si svolge tra la Marianne, Napoleone ed il sorriso enigmatico della Gioconda: «Liberté, Egalité, Fraternité!» - «C'est moi!» - [sorriso].
In aggiunta all'ottima prova della Golino, nel film di Gaudino (Per amor vostro) ho amato ritrovare, temperati da una sensibità autentica ed originale - forte di una buona tenuta narrativa - certi tratti barocchi e onirici del cinema di Corsicato. Un cinema che qui è fatto anche di luoghi capaci di provocare efficaci suggestioni figurative: la Grotta della Dragonara, le Catacombe di San Gaudioso.
Nel film di Vigas, vincitore del Leone d'oro 2015 (Desde allá), ho apprezzato il rigore della narrazione, che deve certo alla lezione del miglior cinema europeo (sono sicuro che il regista argentino ha studiato Haneke): ha lavorato sui tempi (equilibratissimi), sulle fratture del discorso, su accostamenti (anche brutali) del materiale per 'parlare' oltre il racconto, oltre l'immagine (che è poi lo scopo del cinema di qualità). E ho apprezzato il finale, a differenza di quanto mi è capitato di fare dopo aver visto Une nouvelle amie di Ozon (l'ammiccante happy end sostituito all'orginale della Rendell).
Quanto a suggestioni, ne possiedono moltissime le miniere di carbone filmate in Beixi moshuo (Behemoth) di Zhao Liang. Il lavoro del regista cinese è certo debitore del cinema di Herzog; eppure, non mi ha convinto del tutto. Complice è stata certo la cornice narrativa portata avanti dal voice over, troppo (o troppo poco) timido. Meglio, forse, sarebbe stato impiegarlo solo al principio ed alla fine, piuttosto che utilizzarlo per prevedibili e poco incisivi interventi attorno alla Divina Commedia, allo specchio che ammicca al coinvolgimento degli spettatori e, più in generale, per rafforzare quello che già le immagini mostrano con evidenza. Contano infinitamente di più, insomma, l'immagine delle mani callose ed il sonoro di un respiro affannoso sul letto d'ospedale: dalle viscere della terra, dalla materia che con l'incantesimo del fuoco si fa sudore e poi catarro e morte, per fabbricare sogni deserti.
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