Due brevi riflessioni sul concerto-proiezione di ieri sera, cui avevo già assistito alla Scala nel 2011.
L'Arcimboldi era gremito e le luci della sala si sono abbassate con venti minuti di ritardo per permettere a tutti di prendere posto. Il pubblico, che era di varia estrazione, ha accolto l'esecuzione con appalusi scroscianti: un vero successo. Tanti erano in teatro anche i giovani spettatori, e non quelli 'fantasma' cui qualcuno ama riferirsi quando si tratta di spettacoli d'opera in località non ben identificate. Mi domando perché, progettando i cartelloni delle stagioni lirico-sinfoniche, non si punti con determinazione ad inserire concerti-proiezione di capolavori del cinema muto, piuttosto che ostinarsi a riproporre la milionesima recita di Traviata e di Bohème in versione finto-pop per sedurre chissà quale nuovo pubblico. È quella un'affabulazione mal riuscita, a differenza di ciò che offre una serata come quella di ieri; anche a scopo 'didattico', per far conoscere al pubblico - grazie a partiture tutt'altro che disprezzabili - quale sia il potere 'illustrativo' della musica (tornano in mente le riflessioni intorno alla musica a programma). Per spettatori a digiuno di cultura dell'ascolto, è infinitamente più invitante una serata come quella di ieri, a contatto con una forma che conoscono bene (il cinema), piuttosto che un approccio fuggitivo con l'opera lirica (che andrebbe fatta, ma con congnizione di causa).
L'altra osservazione riguarda la partitura di Huppertz e un passo in particolare: la prima apparizione del robot, in tutta la sua metallica lucentezza. La disposizione degli strumentisti della Filarmonica della Scala, in parte collocati ai lati dello schermo, mi ha consentito di riconoscere anche visivamente come, in quel passo, siano impegnati celesta, glockenspiel e triangolo, che suonano sugli armonici dei violini. Sono gli stessi strumenti impiegati nel Rosenkavalier di Strauss (1911) nell'atto secondo (quattro prima di 25, Ziemlich langsam). Là per far brillare alle nostre orecchie lo splendore della rosa d'argento; qui per evidenziare altrettanta nitidezza di luci e forme.
Pubblico in calce il programma di sala di ieri sera, di cui sono autore:
Attualità di un
capolavoro
di
Francesco Gala
Nell'eredità
che l'arte del '900 ha consegnato alle presenti e future generazioni,
un posto privilegiato spetta a Metropolis, fra i
capolavori di Fritz Lang e dell'intera storia del cinema. È
l'opera germogliata nel contesto politico e culturale di
quell'irripetibile esperienza che fu la Repubblica di Weimar, in
un'Europa ancora estranea alle tragedie dei totalitarismi
novecenteschi che ci hanno consegnato, sostanzialmente, un bilancio
univoco del secolo scorso: quello di un secolo di orrori, stretto tra
tre guerre mondiali (fredda la terza) e liberatosi solo nel 1989,
data alla quale corrisponderebbe addirittura la fine della Storia.
Invece, dopo tante drammatiche esperienze, da non da rimpiangere
affatto, sono ancora tutti là - o meglio qui e in Metropolis -
gli interrogativi e le speranze di un mondo alla ricerca di un
rinnovato rapporto tra economia e lavoro. E chissà se i prossimi
decenni ci vedranno partecipi di un nuovo patto sociale o dello
sgretolamento del capitalismo o di molto altro ancora. Certo, il film
di Lang si dimostra nuovamente capace d'interpretare il presente, di
lasciar intravedere il futuro e soprattutto d'interrogarlo: valga il
finale, che testimonia, per alcuni, la conciliazione degli aspetti
principali della socialdemocrazia (capitale e lavoro); secondo altri, si tratta di una conciliazione che prefigura però modi tutt'altro che democratici: quelli che la Storia del '900 ci ha
dolorosamente insegnato. Lang, che intrattenne una lunga esperienza
di collaborazione con la moglie Thea von Harbou, sceneggiatrice ed
autrice del soggetto - già pubblicato in un romanzo del 1926 - aveva
però previsto un finale differente e non poco nichilista: i due
innamorati sarebbero partiti su un razzo lasciando la città in preda
al caos. E, segno di un niente affatto pacificato rapporto col
materiale narrativo, la nuova versione del romanzo pubblicata a
puntate nel 1926 eliminò il robot - ed è un fatto sorprendente -
costruendo il dualismo bene/male attorno a Maria e ad una sua
sorella: Annelie. Poi il destino dei creatori di Metropolis
prese vie diverse: la von Harbou entrò a far parte del Partito
Nazional Socialista Tedesco del Lavoratori, un fatto che non poco
contribuì alla sua separazione da Lang, nel 1933: l'anno di un altro
grande film (Il testamento del dottor Mabuse). Il regista
lasciò la Germania per trasferirsi a Parigi e da lì negli Stati
Uniti, mentre lei fu arrestata dagli inglesi alla fine della guerra.
Morirà nel 1954.
Anche
da un punto di vista strettamente cinematografico, Metropolis
è punto d'arrivo e di partenza. Si tratta, infatti, del titolo più
eclettico ed innovativo della produzione tedesca degli anni di
Weimar: per i materiali, i riferimenti e, più in generale, perché è
l'opera che anche sul piano iconografico e drammaturgico si pone come
una sorta di ricapitolazione di tutte le esperienze fin là compiute;
quasi un limite estremo del campo in questione. E, al tempo stesso,
questo film ha aperto la strada al futuro del cinema.
E
a noi, che abbiamo oggi il privilegio di assistere all'esecuzione dal
vivo della colonna sonora, su quale tra le tante chiavi di lettura
del film ci dobbiamo concentrare? Va subito ricordato che dal 2008,
anno del fortunato ritrovamento delle molte sequenze sino ad allora
ritenute perdute (Buenos Aires, presso il Museo del Cine), possiamo -
a seguito di un'accurata reintegrazione della pellicola - guardare
Metropolis nella versione più completa a nostra disposizione
(148'); e proprio per merito di Frank Strobel possiamo ora godere nel
modo più autentico anche della componente sonora della pellicola: è
lui che ha curato adattamento, sincronizzazione e orchestrazione
delle musiche di Gottfried Huppertz (1887-1937) per molti anni
scorciate, adattate alle differenti e mutili versioni del film.
Tanto
più che proprio la musica di Huppertz ci agevola nel penetrare
quest'opera essendo tale essa stessa: Metropolis, opus 29
(1927). Il compositore, che diresse l'orchestra alla prima proiezione
(10 gennaio 1927), aveva già lavorato con Lang per la serie formata
dai due film epico-fantastici Die Nibelungen; anche in questo caso la colonna sonora è parte integrante della drammaturgia del film.
L'organico è quello di un'orchestra sinfonia tardo-romantica con due
'intrusioni': l'organo e i sax contralto, in accordo con altrettante
situazioni richieste dalla pellicola. E la narrazione filmica è
sostenuta da motivi conduttori che aiutano a chiarirla, a penetrare
nei personaggi, nei loro stati d'animo, a distinguere ed accostare
diverse situazioni che scorrono sullo schermo; non possiamo mai
dimenticare che il cinema è debitore del genio visionario di Richard
Wagner. Tra i molti motivi musicali facili da identificare, insieme a
quello festante della prime immagini della città Metropolis (lo
stesso impiegato per accompagnare le sequenze della torre di Babele),
c'è il tema del Mediatore che, grazie alla sua frase cantabile, è
lirico ed accorato; oppure quello percussivo e dissonante che si
ascolta nei molti fotogrammi riservati alla fabbrica sotterranea che
improvvisamente - in sincrono con l'immagine - emette il suono apro
di una sirena. Non mancano le citazioni, quali la Marseillaise:
brano celeberrimo che anche qui - come in La nuova Babilonia di
Kozincev e Trauberg (musiche di Šostakovič,
1929) - è sottoposto ad un trattamento deformate, in
conformità con la situazione drammatica. Ed
è musicale anche la
scansione temporale del film, diviso in tre parti: I. Auftakt
(Preludio); II. Zwischenspiel
(Intermezzo); Furioso.
Soprattutto
siamo chiamati dall'orchestra a giocare un ruolo attivo guardando
Metropolis. Fate
attenzione al Moloch, il mostro-macchina che si ciba di operai: là,
dopo un'insostenibile progressione (che meraviglia quella al termine
della Corazzata
Potëmkin!)
la musica tocca l'apice della tensione drammatica. Quei tremendi
accordi li riascoltiamo prima nel racconto di Freder al padre, come
reminiscenza di quanto accaduto nel sottosuolo, e poi per
identificare lo spietato Rotwang, scienziato ed inventore del robot
che dovrà spingere gli operai a distruggere le macchine; e con esse
la città. Scienza e capitale: anche questi aspetti ci dimostrano
quali e quanto siano inquietanti, irrisolti gli interrogativi
proposti nel film di Lang.
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