giovedì 11 settembre 2014

Belluscone - Una storia siciliana

Si potrebbe tentare di condensare il nuovo e bellissimo lavoro di Franco Maresco in un solo gesto filmico: il fondue a nero. Belluscone - Una storia siciliana dimora, infatti, negli interstizi tra luce e buio, immagini e dissolvenze, i soli luoghi nei quali può abitare una storia (politica, ma anche sociale e di quartiere) che parrebbe impossibile da raccontare, imprigionata com'è tra dichiarazioni ed omertà, detto e lasciato intendere. Questa dialettica è feconda di segni e significati; che a sedere difronte alla mdp siano Dell'Utri, un pentito di mafia o una delle nuove creature del regista, Ciccio Mira. 
Se nel Ritorno di Cagliostro lo stravolgimento del punto di vista narrativo giungeva a metà della pellicola, questa volta il rovesciamento è immediato: Maresco - ci informa Sanguineti cinque minuti dopo l'inizio del film - è scomparso, sommerso dalla mole di materiale accumulato in pre-produzione. Mai così radicale ed autoriale (addirittura wellesiana) è stata l'etica del fallimento, molto cara al regista palermitano che ama spettacolarizzare la frana, propria ed altrui. Ennesima dissolvenza. Nero. Il mockumentary si fa da sé. 
Il quartiere Brancaccio, la mafia, Berlusconi. Ma quello che Maresco ricerca trascende il patrimonio di conoscenza dello spettatore e, al tempo stesso, fa leva proprio su di esso. La complicità con il pubblico sta nel poter contare sul pregresso e, pertanto, il film ci avvolge in una materia che si nutre soprattutto di altro (le più intime ragioni del fenomeno mafia in Sicilia) fino al "colpo di grazia finale" (parole di Sanguineti), quando scopriamo che quell'altro è la ragione di tutto. L'omaggio del giovane neomelodico sulla tomba di Bontade, infatti, è immagine di rara potenza (varrebbe, persino, come epitaffio del genere mafia movie): nuova e vecchia mafia, con gli stessi valori ed i medesimi umori grazie ai quali non cessa di fermentare.
Non si poteva raccontare che così questa "storia siciliana", come recita il sottotitolo; una storia italiana, ennesimo sottotesto. Torna in mente un lavoro del 1999: Enzo, domani a Palermo!
Il mondo-cinema ed il manierismo del b/n alla Ciprì e Maresco (però, come già in Totò che visse due volte, la fotografia è di Luca Bigazzi) si esercitano ora sull'estetica delle tv locali, delle feste in piazza, del sottobosco neomelodico. Esaltante è la maestria nel mettere in valore ogni risorsa figurativa, che sia frattaglia o documento storico, trattata con pari, umanissima dignità; quella che, da sempre, caratterizza la poetica dell'ex duo; quella che non riesce a fare a meno della pietà, del patimento, dell'amore per i reietti e i per luoghi abbandonati dal cinema italiano, troppo spesso esteticamente uniformato. E consueto è lo stile jazzistico del regista fatto di accelerazioni, frammentazioni e pause rapsodiche, percorrendo la storia (anche quella con la s maiuscola) e fuggendo qualunque didascalismo. Tanto che la questione meridionale e il brigantismo si trovano per un momento trascesi in un paradossale chiasmo quando un intervistato - al Brancaccio non c'è accusa più infamante che dire "carabiniere" - dichiara, da grande estimatore di Berlusconi: "Bellusconi è come Garibaldi".
Il cinema di Maresco continua ad essere duro e puro, complesso e stratificato come lo sono i lavori importanti. Questo film è fatto solo per chi ama il cinema: per tutti gli altri c'è la Guzzanti. 


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