Charlie Kaufman è uno sceneggiatore di grandissimo valore e la riuscita dei titoli più belli di Jonze e di Gondry si deve anche al suo genio. Questa è la prima volta che dirige una propria sceneggiatura. Per conto mio, avrei preferito che rimanesse, anche in questa occasione, il formidabile scrittore che è lavorando il proprio testo con un regista capace di tradurre a livello filmico una materia mai così complessa e bisognosa di essere domata, soprattutto per guadagnare la forza delle immagini; quella che ci si porta a casa, impressa nella mente, è la porzione di New York ricostruita in un enorme hangar.
Synecdoche, New York rimane, a mio avviso, un lavoro avviluppato intorno ad un testo davvero troppo verboso. Ma è spiazzante e sincero, fino al fecale; vertiginoso nel gioco di raddoppi dei personaggi in cerca d'autore e, in pari misura, di autori in cerca di personaggi. Il tema è una costante della poetica di Kaufman, mai prima d'ora così radicalmente sviluppato e così memore di Derrida. La crisi straniante e solitaria del protagonista (Caden Cotard/Philip Seymour Hoffman) è infatti immersa nel reale quotidiano per intaccare in profondità il processo simbolico; mettere in scena la realtà naturale per giustificarne l'esistenza, comprenderla e al tempo stesso trascenderla. Echeggia in questo proposito buona parte della filosofia del XX secolo. La posta in gioco è insomma ragguardevole così come esplicite sono le citazioni letterarie: si va da Grotowski a Beckett (“L'ultimo nastro di Krapp”). Ma più di tutto, in tempi di sfrenata autoreferenzialità, è importante il richiamo alla non irrinunciabilità di ogni essere umano, il cui transito sulla Terra è legato con innumerevoli fili ad altre innumerevoli esistenze.
giovedì 26 giugno 2014
martedì 17 giugno 2014
Gebo e l'Ombra
"Gebo e l'Ombra" esce la prossima settimana ed è l'ultimo film di Manoel de Oliveira. Se vi capita, guardatelo in francese per gustare le voci roche della Moreau e della Cardinale (che non si è doppiata nella versione italiana). Fonte d'ispirazione è il dramma in quattro atti di Raul Brandão, scritto nel 1923 durante gli ultimi anni della prima repubblica portoghese; epoca di crisi economica e morale, simile alla nostra. Per questo è un tesoro prezioso la voce di de Oliveira, che qui ci parla attraverso un testo capace di farsi apprezzare per una qualità rara: quella di attualizzarsi spontaneamente e di risultare quindi, al tempo stesso, universale. Una storia che è anche familiare e che, in questi giorni di nuove tragedie domestiche, ci parla con franchezza e dolore. Un film sulla crisi, si dirà, banalizzando. Vero. Ma è una parabola antica dagli accenti commossi, anche quando le conversazioni di questo interno piccolo borghese virano sull'arte. È un de Oliveira che, per certi aspetti, si colloca sulla linea di "I misteri del convento" e di "Parola e utopie". Ed è sempre opera di alta statura morale, di sorvegliata sensibilità e di stile, caratteristiche del maestro che rimarrà nella storia del cinema come l'ultimo dei primitivi e il primo fra i moderni.
mercoledì 11 giugno 2014
A 150 anni dalla nascita di Richard Strauss
Nel 1964, non c'era più da tre anni l'edificio in Altheimer Eck Strasse (Monaco di Baviera) nel quale alle 6 del mattino del'11 giugno di cento anni prima era nato Richard Strauss.
Il palazzo, al numero civico 2 (poi 16), ospitava le sale della birreria Pschorr Bräu, di proprietà della famiglia della madre del compositore e collegate all'edificio principale in Neuhauser Strasse 11. Nel mezzo, sopra le quattro finestre tra i piani primo e secondo, c'era una targa, affissa nel 1914, per ricordare la nascita del grande compositore. Era un palazzo sopravvissuto alla catastrofe della guerra, poi sostituito da un grande magazzino ora nuovamente raso al suolo.
Il bambino fu battezzato col nome di Richard Georg, e il padre Franz - primo corno dell'Orchestra del Teatro di Corte - tornò ad esercitarsi per il “Don Giovanni” che si dava il giorno dopo all' Hof- und Nationaltheater; un giorno prima che il piccolo Richard compisse il suo primo anno di vita, “Tristan und Isolde” vedeva finalmente la luce sullo stesso palcoscenico (10 giugno 1865). Mozart e Wagner: è curioso, ma sono proprio due autori senza i quali l'arte di Richard Strauss parrebbe assai difficile da raccontare.
Il palazzo, al numero civico 2 (poi 16), ospitava le sale della birreria Pschorr Bräu, di proprietà della famiglia della madre del compositore e collegate all'edificio principale in Neuhauser Strasse 11. Nel mezzo, sopra le quattro finestre tra i piani primo e secondo, c'era una targa, affissa nel 1914, per ricordare la nascita del grande compositore. Era un palazzo sopravvissuto alla catastrofe della guerra, poi sostituito da un grande magazzino ora nuovamente raso al suolo.
Il bambino fu battezzato col nome di Richard Georg, e il padre Franz - primo corno dell'Orchestra del Teatro di Corte - tornò ad esercitarsi per il “Don Giovanni” che si dava il giorno dopo all' Hof- und Nationaltheater; un giorno prima che il piccolo Richard compisse il suo primo anno di vita, “Tristan und Isolde” vedeva finalmente la luce sullo stesso palcoscenico (10 giugno 1865). Mozart e Wagner: è curioso, ma sono proprio due autori senza i quali l'arte di Richard Strauss parrebbe assai difficile da raccontare.
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