Moriremo di benaltrismo. C’è sempre qualcosa di più grave, di più pressante per cui affannarsi e a cui dichiarare l’urgenza di voler porre
rimedio. È sorprendente quanti pretendano di offrire al prossimo le
misure di quelli che dovrebbero essere il giusto biasimo e l’afflizione
q.b.
Da un lato i naufraghi nel Mediterraneo e dall’altro la
charpente en feu. Vuoi mettere? Su un fronte le chiese barocche
pericolanti e su un altro il gotico solo in parte autentico. E così via
di seguito. Sarà più importante la
disoccupazione o la guerra in Libia? Pesi e misure stabiliti per essere
sottratti alla dimensione umana del dolore che sempre è personale e
incalcolabile perché si ostina a sfuggire alle leggi del bilancino così
come non è fatta per obbedire allo stesso metronomo. È come se il fatto
stesso di provare dolore per qualcosa o per qualcuno - pure fuori tempo
massimo, persi nell’inattuale - fosse atto peccaminoso perché, immagino,
capace di mettere in discussione il fatto che la coperta sia comunque
troppo corta e non possa bastare per tutti e allo stesso tempo.
Io
mi sforzo di far propria una dimensione del dolore anzitutto rispettosa
di quello altrui; nel caso di Notre Dame, in primo luogo, di chi là
officia e prega.
Sarebbe lunghissimo ricordare cos’è la cattedrale
di Parigi sia per la Storia che per quella dell’arte; o per chi,
dall’altro capo del mondo, sogna di visitarla con mille suggestioni
diverse e, c’è da crederlo, non tutte artisticamente informate. Ma
guardate, in queste foto, cosa è andato perduto. Forse basterebbe
intuire quanta intelligenza e quanto sacrificio ci sono dietro ad una
costruzione siffatta per offrirci un indizio riguardo alla cultura della
cooperazione e alle comunità che si sono mosse nei secoli attorno a un
edificio simile. Intuire questo fatto, io credo, contribuirebbe ad
afferrare il concetto che ingiustizie e drammi hanno bisogno di
considerazione umana e dunque rispettosa, accolti e pensati ciascuno in
uno spazio che non può essergli mai sottratto, pena il venire meno del
tutto.
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