Per ricordare Maria Callas c'è anche, una volta oltrepassate le strade più battute del mito, la sua Armida.
Penso agli ultimi giorni del soprano in quel triste appartamento di
Avenue Georges-Mandel. Chissà se avrebbe voluto ascoltare (ma con quale
stato d'animo!) la registrazione fiorentina del '52; forse le sarebbe
stato impossibile, da perfezionista, trovare qui difetti, imprecisioni.
I miti autentici come la Callas non hanno bisogno che si calchi la mano attorno alle loro
"epifanie" e "rivoluzioni". La Callas appartiene dunque alla Storia,
specie a quella che l'ha preceduta e nella quale ha iscritto la propria
avventura artistica.
In questa pagina rossiniana c'è un saggio di
quella restaurazione (rivoluzionaria, ça va sans dire) che apparenta la
Callas alla secolare tradizione del bel canto italiano. Questo ascolto è
un affaccio sui secoli passati e sul modo di praticare un'arte antica:
quella che, svincolata da preoccupazioni di naturalismo drammatico, è
capace con i mezzi del canto di creare una magia che si propone di
conquistare anche «Chi, misero, non sente / La fiamma sua possente».
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