venerdì 10 febbraio 2017

La Sinfonia della "Gazza ladra" diretta da Toscanini

Una volta, il violinista Franco Fantini che suonò in orchestra per il concerto della riapertura della Scala dopo la distruzione mi ha raccontato di essere rimasto quasi sconcertato dal programma: Toscanini aveva scelto la Sinfonia della Gazza ladra. «Ma come? Una musica spensierata, da divertimento, per un'occasione tanto solenne, importante?». Erano gli anni Quaranta e il compositore del Barbiere restava per un giovane musicista il compositore di musica disimpegnata. Già in prova, però, Fantini conobbe la grandezza della pagina; in repertorio, fra le sinfonie rossiniane, Toscanini includeva il Tell e Semiramide.
Il brano più celebre della Gazza ladra diretto dal Maestrissimo è ancora oggi un ascolto sbalorditivo e si conta fra i molti dai quali si evince la sua irripetibile personalità.
Si sarebbe tentati di definirla un'interpretazione compiutamente etica, aggettivo fuori misura solo qualora non si ricordi che la comédie larmoyante era il genere in cui la borghesia esprimeva il proprio compiacimento con notevolissimo grado di autocoscienza e onesto contegno sentimentale. Siamo nell'anticamera del romanticismo politico, associato in Francia al liberalismo rivoluzionario e già incarnato dalla pièce à sauvetage, l'altro modello del libretto semiserio di Gherardini: il martello della potestà tribunizia promette, infatti, la sentenza di Ninetta sulle note della cabaletta di Gottardo che presta materiale dell'opera ad una Sinfonia cominciata con un Maestoso marziale, staccato da Toscanini con orgogliosissima asciuttezza. Eppure qui, anche gli episodi rischiaranti della Sinfonia affidati al chiacchiericcio dei legni sono iscritti dal direttore in una visione fortemente unitaria, tanto che la turbolenza - inaspettata, inebriante e beethoveniana come mai altrove col suo rimpallo imitativo e gli sforzato - acquista, proprio al centro dello spazio che produce, i tratti di un'autentica catastrofe prima di essere, ma solo all'ultimo, ricondotta alla calma tramite il corale degli ottoni e poi risolversi in un nulla di fatto: e cioè nella sezione “spensierata”, che con Toscanini suona non poco sinistra e che nella ripresa si riaffaccia occhieggiando quasi temesse di risultare inopportuna.
Emerge, insomma, qui - al grado massimo - il connotato che stacca lo stile di Rossini dalla tradizione buffa: il tono forzato che dichiara nell'eleganza del gioco musicale tutta la propria durezza. È un tono che - come ci ricorda Antonio Amore nei Brevi cenni critici (1877) - apparenta la musica di Rossini non allo spirito della Restaurazione, bensì a quello della Rivoluzione. Si ricorderà, certamente, quale sia la differenza tra l'atteggiamento conciliante di Rossini e quello critico di Beethoven davanti al ristabilimento dell'Ancien Régime; eppure, qui, entrambi sono partecipi di quello spirito del tempo che Toscanini fa vivere nella propria interpretazione. Si direbbe che il Maestro abbia condotto Rossini - altrimenti così restio - ad immedesimarsi nella qualità metafisica dell'oggetto, secondo una compiuta visione romantica. E, per un'associazione di idee che riporta ad un capolavoro della letteratura universale, l'incisione toscaniniana - col suo marcare all'estremo la ritmica aggressiva - fa sì che io stabilisca un vincolo di parentela fra la sua urgenza febbrile guidata da un imperativo morale e la corsa disperata di Valjean verso il processo ad Arras: La Gazza ladra debutta nel maggio 1817 e l'episodio immaginato da Hugo risale al marzo 1823.

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