C’è stato al mondo un uomo come Jean Vigo che girava capolavori assoluti resistendo con passione e forza smisurate alla tubercolosi che lo avrebbe ucciso a ventinove anni. I suoi capolavori sono e restano tali indipendentemente dalla condizione fisica in cui versava il loro autore. Sarebbe assurdo, oltre che vergognosamente immorale, affermare che tale condizione fisica generi (o magari pregiudichi) i frutti del lavoro di un autore. Fu ad essi allora estranea, indifferente, tale condizione? Niente affatto, perché nessun fattore umano è alieno al fare dell’artista. Ed allora, non dimentichi di esso, continuiamo ad amare i capolavori di Vigo.
Allo stesso modo dobbiamo riconoscere nei frutti dell’attività di Ezio Bosso sul fronte della musica colta occidentale quella di essere stati, quando non mediocri, assolutamente approssimativi laddove forza e determinazione straordinarie dell’uomo trovavano attraverso i mezzi di comunicazione un veicolo adatto a testimoniare non la grandezza dell’arte ma l’amore per essa.
Un interesse emozionale, dunque, che è aspetto ricercato con assiduità talvolta esclusiva dai media perché si tratta di una componente immediata, facile, adatta ad essere veicolata al più vasto numero di spettatori.
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