martedì 3 luglio 2018

Bellini e i suoi luoghi

Un Bellini tira l’altro, e non mi riferisco al cocktail.
Quando si torna alla sua musica, avendo lasciato passare un po' di tempo, si prova sempre la meravigliosa sensazione della scoperta sapendo comunque di essere tornati a casa. Poi accade che non si riescano più a fermare gli ascolti voraci per dedicarsi ad altra musica, ad altri autori.
Trovo che accada lo stesso con Wagner; è una delle convergenze che avvicinano i due geni. E succede di ritornare a Wagner soprattutto d'estate, per via di Bayreuth.
C'è in Bellini come in Wagner un modo specifico di essere musica in ragione del fatto che questi compositori hanno creato autentici mondi musicali, le parole stile e linguaggio stando a loro molto strette. E sono soprattutto luoghi del sentire da intendersi talvolta come ambienti veri e propri.
Nelle opere degli anni '20 di Bellini si tratta di autentiche finestre che affacciano su altrove che è facile definire romantici e trasognati perché questi aggettivi possiedono eco dal rimando vastissimo. Sono finestre che ci spingono subito ad abitare questi altrove per minuti durante i quali il tempo letteralmente evapora; sono luoghi che si cantano a due perché là non ci si potrebbe immaginare soli.
È questa una dimensione spaziale già avvicinata nel Pirata (il porto tranquillo di «Vieni: cerchiam pei mari»). Ma è nella Straniera che Bellini squarcia l'orizzonte su un territorio che la musica inventa così lontano da crederlo tutt'uno quelli della trascendenza («Ah! se tu vuoi fuggir | Il mondo e il suo splendor»). Si ascolta qui dal minuto 11: 54, dove il La bemolle maggiore galleggia sugli accordi delle viole.
I versi di Romani sono belli per davvero ma soprattutto quando si ripetono ad alta voce dopo l'ascolto, forse pure perché ci si emoziona pensando che Bellini facesse altrettanto mentre componeva.
Luoghi lontanissimi, abbiamo detto, che la musica avvicina e consegna a chi voglia abitarli. Non è una cosa che accade spesso nel teatro verdiano, in cui tanto è contingenza e immanenza dell'azione. Per giungere in terre a distanza così sconfinata bisogna aspettare Don Carlos («Au revoir dans un monde où la vie est meilleure»); qui la situazione drammatica non è molto distante da quella della scena evocata nell'atto secondo del Pirata. E poi accade con Boito: «Lontano, lontano, lontano | Sui flutti d'un ampio oceàno».
Un giorno o l'altro queste pagine bisognerebbe inventariarle. 



 

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