Un Bellini tira l’altro, e non mi riferisco al cocktail.
Quando si
torna alla sua musica, avendo lasciato passare un po' di tempo, si prova
sempre la meravigliosa sensazione della scoperta sapendo comunque di
essere tornati a casa. Poi accade che non si riescano più a fermare gli
ascolti voraci per dedicarsi ad altra musica, ad altri autori.
Trovo che accada lo stesso con Wagner; è una delle convergenze che
avvicinano i due geni. E succede di ritornare a Wagner soprattutto d'estate, per via di Bayreuth.
C'è in Bellini come in Wagner un modo specifico di essere musica in
ragione del fatto che questi compositori hanno creato autentici mondi
musicali, le parole stile e linguaggio stando a loro molto strette. E
sono soprattutto luoghi del sentire da intendersi talvolta come
ambienti veri e propri.
Nelle opere degli anni '20 di Bellini si
tratta di autentiche finestre che affacciano su altrove che è facile
definire romantici e trasognati perché questi aggettivi possiedono eco
dal rimando vastissimo. Sono finestre che ci spingono subito ad abitare
questi altrove per minuti durante i quali il tempo letteralmente
evapora; sono luoghi che si cantano a due perché là non ci si potrebbe
immaginare soli.
È questa una dimensione spaziale già avvicinata
nel Pirata (il porto tranquillo di «Vieni: cerchiam pei mari»). Ma è
nella Straniera che Bellini squarcia l'orizzonte su un territorio che
la musica inventa così lontano da crederlo tutt'uno quelli della
trascendenza («Ah! se tu vuoi fuggir | Il mondo e il suo splendor»). Si
ascolta qui dal minuto 11: 54, dove il La bemolle maggiore galleggia
sugli accordi delle viole.
I versi di Romani sono belli per davvero
ma soprattutto quando si ripetono ad alta voce dopo l'ascolto, forse
pure perché ci si emoziona pensando che Bellini facesse altrettanto
mentre componeva.
Luoghi lontanissimi, abbiamo detto, che la musica
avvicina e consegna a chi voglia abitarli. Non è una cosa che accade
spesso nel teatro verdiano, in cui tanto è contingenza e immanenza
dell'azione. Per giungere in terre a distanza così sconfinata bisogna
aspettare Don Carlos («Au revoir dans un monde où la vie est
meilleure»); qui la situazione drammatica non è molto distante da quella
della scena evocata nell'atto secondo del Pirata. E poi accade con
Boito: «Lontano, lontano, lontano | Sui flutti d'un ampio oceàno».
Un giorno o l'altro queste pagine bisognerebbe inventariarle.
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