La robaccia propinata dal sovrintendente e dal direttore artistico (in
absentia) scaligeri non può essere argomento di riflessione critica:
basta la cronaca. È uno sgarbo al compositore prima ancora che al
pubblico: una produzione di bassa provincia europea che richiama il Macbeth del 2013.
Per sentirsi degni di un autore come Donizetti
bisogna, invece, volare alto, specie quando il titolo è tassello
imprescindibile nella storia della tragedia romantica. Voglio ricordare un
ascolto forse un po' trascurato rispetto ad altri (Chicago, 1985).
Anna
Bolena fu un ruolo avvicinato dalla Stupenda un poco per volta e, anche
se affrontato soltanto in carriera ormai avanzata, restituito con
sensibilità compassata e dolente tanto prossima all'intima e sofferta
rassegnazione del personaggio da restare ugualmente memorabile. Si
tratta di una considerazione che vale certamente per il duetto con
Percy; da ascoltare con attenzione cosa diventa sulle labbra della
Sutherland quel «Ah, mai più s'è ver che m'ami / non parlar con me
d'amor.»
L'evoluzione vocale di Rubini che intorno agli anni '30 conquistava con la seconda maniera i territori espressivi di Donizetti è sintetizzata invece nei modi del canto di Merritt, qui nel suo periodo d'oro. Già dal recitativo ecco un fraseggio benissimo animato («la fronte mia solcata vedi dal duolo») per definire il profilo di un personaggio sì romantico nei voli alati e trasognati, ma in pari misura scaldato da un'impulsività tutta byroniana, quella che il compositore (come il primo interprete) sublimano nelle accensioni e nelle vette raggiunte per tramite di quei 'trampolini' sui quali la voce si lancia all'acuto e al sopracuto.
La forbice di Bonynge è, questa sì, intelligente e strategica perché fedele ai rapporti di forza fra forme chiuse. E anche se la pronuncia dei cantanti non è immacolata, l'italianità degli accenti e della situazione drammatica è restituita con una verità che scalda il cuore.
L'evoluzione vocale di Rubini che intorno agli anni '30 conquistava con la seconda maniera i territori espressivi di Donizetti è sintetizzata invece nei modi del canto di Merritt, qui nel suo periodo d'oro. Già dal recitativo ecco un fraseggio benissimo animato («la fronte mia solcata vedi dal duolo») per definire il profilo di un personaggio sì romantico nei voli alati e trasognati, ma in pari misura scaldato da un'impulsività tutta byroniana, quella che il compositore (come il primo interprete) sublimano nelle accensioni e nelle vette raggiunte per tramite di quei 'trampolini' sui quali la voce si lancia all'acuto e al sopracuto.
La forbice di Bonynge è, questa sì, intelligente e strategica perché fedele ai rapporti di forza fra forme chiuse. E anche se la pronuncia dei cantanti non è immacolata, l'italianità degli accenti e della situazione drammatica è restituita con una verità che scalda il cuore.
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