Quella di Fuocoammare a Berlino è una vittoria che deve riempirci di
orgoglio; Gianfranco Rosi ha diretto un film importantissimo.
Tutti
sappiamo di essere parlati dal linguaggio; ebbene, oggi lo siamo
altrettanto dalle immagini. Ci possiedono fino ad assuefarci, capaci di
aderire alla mente sino a plasmarla, specie tramite i mezzi di
comunicazione; non per essere rese visibili a un occhio esterno, ma
trasparenti a loro stesse. L'esibizione continua dell'immagine non è che l'altro suo modo di sparire.
Ciascuno di noi ha intorno alla tragedia dei migranti a Lampedusa un
proprio bagaglio di visioni attorno alle quali ha organizzato pensieri,
aspettative; ha tirato somme e, nei casi peggiori, sputato sentenze.
Ebbene, la visione “in tempo reale” non ha fatto che aggiungere irrealtà
alla cosa. Nessun voyeurismo della morte e del dolore, invece, nel film
di Rosi, anche quando sale sulla Cigala Fulgosi; il suo occhio trova il
valore di ciò che ha perso l'illusione della realtà, la sua forma
simbolica forte: è realtà allo stato dell'arte; sono le vite sull'isola e
sul suo mare; sono il loro senso, quello che risiede in immagini
lontanissime dalla pura ed infedele oggettività documentaria.
Densissimo, invece, è il dialogo del regista con lo spettatore, anche
attraverso il montaggio; senza paternalismi, senza dita levate per
impartire la lezione (molto simile in questo a Minervini,
all'Oppenheimer di The look of silence). La sua macchina da presa non
prende il mondo per oggetto, ma lo fa diventare oggetto; fa riesumare il
suo essere altro nascosto sotto la sua pretesa realtà; ne provoca il
senso e lo fissa in immagine. Perché la strada da percorrere se si vuole
cogliere la verità è lunga quanto quella che intraprende Samuele, il
giovane protagonista del film; lui, come noi - abituati ad una visione
limitata sulle cose perché assuefatti da bulimia di immagini - soffre di
occhio pigro; deve passare da un decimo a nove. Il premio sarà un
radicale mutamento di prospettiva: dalla fionda per puntare sugli
uccelli notturni, ad un piccolo San Francesco che gioca col loro canto.
Attorno la Lampedusa che, una volta nella vita, bisogna aver visitato
fuori stagione coi suoi silenzi che lasciano posto al vento sferzante,
al mare che a est dello scoglio del Sacramento s'infrange sulla costa.
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